Gengive infiammate, il fumo vanifica tutte le cure
Secondo un team di scienziati svedesi, le cure sono inefficaci o molto poco soddisfacenti se il paziente fuma. Ecco perché

Il fumo fa male alla salute. E non provoca solo cancro e malattie cardiovascolari. In realtà mette a rischio di contrarre anche malattie o disturbi insospettabili. Per esempio, danneggia la salute orale mettendo a rischio di parodontite. Una patologia che se non trattata adeguatamente può portare ala comparsa di problemi ben più seri: dai disturbi cardiovascolari al cancro. Tuttavia, le persone che fumano, pur curandosi, potrebbero non ottenere risultati soddisfacenti. Ecco il motivo, secondo alcuni scienziati svedesi.
Le sigarette mandano in fumo il lavoro del dentista
Ciò che emerge da nuovi studi è che le sigarette potrebbero anche vanificare tutto il lavoro del dentista. Il fumo, infatti, impedisce una corretta rimozione del film batterico e, di conseguenza, alle terapie di essere realmente efficaci. Anche le tasche gengivali, rappresentate dall’aumento del solco gengivale e dalla presenza di patogeni, vengono rimosse con maggior difficoltà. La conseguenza è un aumentato rischio di assistere alla perdita dei denti.
Un dato consolidato
«Che il fumo contribuisca a ridurre l'efficacia delle cure parodontali è un dato consolidato da tempo; gli effetti del fumo su gravità e progressione della parodontite sono ben noti e tante le evidenze scientifiche anche sull'influenza del fumo sull'esito della terapia, tanto che il fumo è proprio una delle controindicazioni all'esecuzione di procedure chirurgiche ricostruttive dei tessuti parodontali. Anche per quanto riguarda la terapia non chirurgica (che consiste nella pulizia profonda sotto-gengivale con rimozione del biofilm di batteri che causano la malattia) da alcuni anni sono state accumulate evidenze sull'effetto negativo del fumo, ma questo studio è importante per durata e dimensioni del campione», spiega all'Ansa Luca Landi, Presidente Eletto della Società Italiana di Parodontologia & Implantologia.
Il trattamento non chirurgico
«Il trattamento non chirurgico della parodontite riduce le tasche superiori a 4 mm (la cui profondità è un segno del rischio di perdita dentale) sia nei fumatori sia nei non fumatori ciò nonostante noi abbiamo scoperto che a un anno dal trattamento la riduzione è più pronunciata nei non fumatori», spiega Aorra Naji, del dipartimento di parodontologia a Falun, in Svezia. Il team di ricerca guidato da Fulan ha scoperto che nei pazienti fumatori, dopo un anno, si riduce una tasca su due nel 51% dei casi. Mentre in chi non fuma se ne riducono 3 su 4 nel 72% dei pazienti.
Limiti dello studio
«Anche se questo studio ha alcune limitazioni - non siamo in grado di analizzare l'impatto del consumo di sigarette o di come l'ex fumo influenzi la guarigione parodontale - abbiamo trovato prove del fatto che il trattamento parodontale periodontale porta a una riduzione della profondità della tasca più pronunciata. Sono necessari studi più ampi per studiare l'influenza della cessazione del fumo sulla guarigione parodontale», continua Naji. Lo studio è stato condotto su 1.551 pazienti trattati, tra il 1980 e il 2015, in una clinica svedese specializzata per la parodontologia. I ricercatori hanno anche scoperto che la riduzione proporzionale della placca era del 69% nei non fumatori e del 53% nei fumatori – sempre un anno dopo il trattamento.
Perché proprio il fumo?
«Innanzitutto il fumo causa tossicità diretta dovuta alla nicotina e ai prodotti della combustione con alterazione del microcircolo e sclerosi dei tessuti gengivali che diventano meno capaci di rispondere all'insulto dei batteri. Poi vi è l'effetto sistemico del fumo che altera e distrugge alcune funzionalità immunitarie e quindi mette più a rischio di infiammazione, sia sistemica, sia locale a livello delle gengive. Infine, anche la rigenerazione del tessuto gengivale dopo la pulizia procede più lentamente nel fumatore. È importante, quindi – si legge sul sito dell’Ansa - che il paziente fumatore che si appresti a una terapia parodontale sia messo al corrente che parte della terapia consiste proprio nella cessazione del fumo; la cosa interessante è che smettere di fumare solo transitoriamente non ha effetto, le conseguenze positive si vedono solo dopo la cessazione duratura del vizio e solo dopo dieci anni si azzera il rischio parodontale fumo-collegato».
I rischi che si corrono
«Il dentista dunque deve sempre avere l'accortezza di chiedere al paziente se fuma e di avvertirlo dei rischi a ciò correlati, cercando di motivarlo a eliminare questa abitudine nociva che può provocare anche problemi con gli impianti dentali, aumentare il rischio di tumore del cavo orale oltre a tutte le altre ben note complicanze di natura sistemica», conclude Landi all’Ansa. Anche i ricercatori sono dello stesso avviso: «è importante per i membri della professione odontoiatrica lavorare con la prevenzione del fumo, ad esempio, mediante interviste informative e motivazionali». Lo studio verrà presentato a EuroPerio9, congresso che si svolgerà dal 20 al 23 giugno presso la RAI di Amsterdam.