20 aprile 2024
Aggiornato 03:30
Malattie del fegato: la Nash

Svelato il mistero della steatosi epatica non alcolica

La malattia del fegato grasso, spesso mortale, che colpisce il fegato e che interessa una persona su cinque potrebbe non avere più misteri, e trovare nuovi efficaci trattamenti

Malattia del fegato grasso
Malattia del fegato grasso Foto: OBprod | shutterstock.com Shutterstock

AUSTRALIA – Ricercatori australiani dell’Università del Queensland hanno trovato un altro pezzo del puzzle sulla steatosi epatica non alcolica, una condizione oggi piuttosto diffusa e che interessa almeno una persona su cinque. La malattia del fegato potrebbe dunque non essere più così misteriosa, e la nuova scoperta fa compiere un altro passo verso lo sviluppo di trattamenti efficaci e duraturi.

La scoperta
In questo studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Cellular and Molecular Gastroenterology and Hepatology, la dott.ssa Laurence Britton e colleghi hanno scoperto un meccanismo cardine grazie al quale il ferro è in grado di rendere il fegato più vulnerabile alla lesione e alla disfunzione metabolica che precede la malattia. La scoperta, è stata un passo importante nella lotta contro una bomba a tempo mortale che colpisce circa 5,5 milioni di australiani, ha commentato il coautore dello studio, professor Darrell Crawford, della Facoltà di Medicina della Queensland. In Italia, la steatosi interessa dal 15% al 25% della popolazione. «Con la crescente epidemia di obesità e nessuna cura conosciuta per la steatosi epatica non alcolica, un numero crescente di persone è seduto su un killer silenzioso – aggiunge Crawford – Ci possono essere sintomi come affaticamento, dolore o perdita di peso - o nessun sintomo. Il malato potrebbe non essere consapevole di avere la malattia fino a quando non è progredita verso la cirrosi epatica o il cancro del fegato».

Il rischio cancro e cirrosi
La steatosi epatica non alcolica (detta anche malattia del fegato grasso) comporta un accumulo anormale di grasso nel fegato. Questo è causa di infiammazione, della formazione di cicatrici e di un’aumentata suscettibilità al cancro del fegato – nonché alla cirrosi epatica. Precedenti ricerche hanno dimostrato che le cellule grasse, il ferro e l’insulina sono tutti attori principali nella malattia, tuttavia fino a oggi l’esatta natura della loro influenza reciproca ha confuso i ricercatori e i medici.

Si riduce l’ormone protettivo
Nello specifico, quanto scoperto da Britton e colleghi, è che il ferro riduce la disponibilità dell’ormone protettivo ApoE, il quale è coinvolto nella regolazione del grasso e nella resistenza all’insulina. La scoperta ha fornito un altro indizio sul motivo per cui l’obesità e il diabete di tipo II sono fattori di rischio significativi per la steatosi epatica non alcolica, sottolinea Britton. Inoltre, questa scoperta offre un obiettivo per le future terapie. «Attualmente non esiste un trattamento standard per la malattia, con i medici che trattano invece le condizioni sottostanti come l’obesità e il diabete – conclude la dott.ssa Britton – Comprendere il ruolo modulante del ferro ci dà un preciso punto di partenza da cui mappare lo sviluppo della disfunzione epatica grassa. Ogni elemento di disfunzione offre l’opportunità di sviluppare un nuovo trattamento per bloccare il processo e prevenire la progressione della malattia».

La ricerca completa è pubblicata sulla rivista Cellular and Molecular Gastroenterology and Hepatology. DOI: https://doi.org/10.1016/j.jcmgh.2018.04.005. La borsa di dottorato della dott.ssa Britton è stata finanziata dalla Gallipoli Medical Research Foundation, con il supporto della Gastroenterological Society of Australia.