28 agosto 2025
Aggiornato 00:30
Artrite reumatoide

Artrite reumatoide, la malattia che 'leva le mani'. 400mila malati in Italia, 75% donne

La malattia che 'leva le mani', così è stata definita l'artrite reumatoide. un dramma che colpisce centinaia di migliaia di italiani. Oggi combatterla si può, e il come lo spiegano gli esperti

Artrite reumatoide
Artrite reumatoide Foto: Shutterstock

ROMA - L’Artrite Reumatoide l’hanno chiamata la malattia che ‘leva le mani’, perché si può arrivare a non poterle praticamente più usare. Un dramma che, soltanto in Italia, colpisce 400mila persone, di cui il 75% sono donne. Gli esperti ricordano che la capacità lavorativa viene intaccata nel giro di 5 anni dall’insorgenza della malattia, con un calo del 33% già dal primo anno, fino ad arrivare a una perdita del 50% in 10 anni. Sono 39 i giorni lavorativi persi in media in un anno da ogni paziente e circa 11mila euro l’anno la perdita stimata in media per paziente dovuta a ritardi al lavoro, permessi, presenteismo. Di tutto ciò se n’è parlato a Roma nel Convegno ‘Artrite Reumatoide: migliorare le aspettative, insieme è possibile’ in cui sono stati messi a fuoco gli strumenti per migliorare la vita dei pazienti e le ricadute di una patologia invalidante.

Il percorso terapeutico è fondamentale
«E’ fondamentale un percorso diagnostico terapeutico per il malato reumatico, che abbia 3 principi fondamentali: diagnosi precoce e tempestiva, presa in carico e cure adeguate e mirate con l’obiettivo di un miglioramento della qualità della vita – ha sottolineato la Presidente di ANMAR, Silvia Tonolo – facendo notare come «nove pazienti su dieci affermino che la malattia è impattante negativamente sulla propria vita e 5 su 10 ritengano di sentirsi esclusi dalla società».

I maggiori ostacoli
Sintomi come fatica e dolore continuano a essere i maggiori ostacoli dei pazienti sul luogo di lavoro, anche se la malattia impatta praticamente in tutte le attività quotidiane, a partire dalle cure personali. Sino a pochi anni fa tra il 32 e il 50% dei pazienti perdeva il lavoro entro dieci anni dalla diagnosi. Le terapie più recenti disponibili sono invece in grado di migliorare la capacità lavorativa, di diminuire il dolore e raggiungere l’obiettivo della remissione. «Da circa 20 anni i malati reumatici e i reumatologi stanno vivendo un momento eccezionale e pieno di speranze anche per il futuro – ha spiegato Mauro Galeazzi, docente di Reumatologia all’Università di Siena – dopo 100 anni di terapie, per lo più chieste in prestito da altre discipline, quasi sempre inefficaci e spesso pericolose per la salute, sono arrivati i farmaci biotecnologici che hanno cambiato non solo la storia naturale della artrite reumatoide. Infatti diagnosi precoce, terapia tempestiva e misurata sul paziente con obiettivo la remissione, prevenzione della disabilità e quindi della cronicità nella invalidità, sono obiettivi raggiungibili nell’artrite reumatoide e in tutte le malattie croniche infiammatorie. Purtroppo – conclude Galeazzi – L’Italia è ancora terzultima in Europa nella prescrizione di farmaci biologici, seconda soltanto a Grecia e Portogallo».

Organizzare la rete territoriale
Per raggiungere questi obiettivi c’è tuttavia bisogno di organizzazione e, in questo senso, la rete territoriale assistenziale integrata, che mette funzionalmente insieme strutture di primo, secondo e terzo livello, e i PDTA rappresentano gli strumenti più idonei. «Ove questo tipo di organizzazione sia stato attuato, il consultivo dell’utilizzo dei farmaci biotecnologici è stato straordinario sia sul piano dei risultati clinici che su quello del risparmio economico – ha chiarito Galeazzi – remissioni sempre più numerose e durature nel tempo della malattia, impedimento della comparsa del danno articolare o blocco della sua progressione, riduzione della disabilità e della cronica invalidità, abbattimento dei costi indiretti legati alla disabilità, riduzione del numero e durata dei ricoveri, miglioramento della qualità della vita con riduzione del numero delle giornate lavorative perse».