2 maggio 2024
Aggiornato 16:30
Alimentazione

La farina italiana è sulla bocca di tutti, quanti però la conoscono davvero?

I risultati dell’indagine «Gli italiani e le farine», ha messo in evidenza luci e ombre che ruotano intorno alla farina e il rapporto con essa da parte dei consumatori. Le responsabilità dei mass media nel garantire una corretta informazione al consumatore si riflettono anche sulla pericolosa moda di escludere il glutine dalla dieta

Farina, questa sconosciuta
Farina, questa sconosciuta Foto: Shutterstock

ROMA – La farina è utilizzata per la maggior parte dei cibi che consumiamo ogni giorno. Eppure, nonostante sia per così dire sulla bocca di tutti, quanti in realtà sanno cosa stanno mangiando? In questo, come emerso dall’indagine condotta dall’Istituto di ricerca Doxa per ITALMOPA, Associazione Industriali Mugnai d’Italia, aderente a Confindustria e a Federalimentare, anche i mass media hanno la loro responsabilità, in quanto rappresentano una grande opportunità, ma possono essere anche un boomerang, se utilizzati nel modo sbagliato.

Può più la Tv o il giornale che il Ministero della Salute
Quando si tratta di scelte o informazioni, soprattutto quando si tratta di un argomento delicato come l’alimentazione, i mass media hanno oggi sempre maggiore influenza sulle scelte d’acquisto dei consumatori, che riconoscono le trasmissioni televisive come più autorevoli dei canali istituzionali come per esempio il sito del Ministero della Salute.

L’indagine
L’indagine ‘Gli italiani e le farine’ ha coinvolto un campione di 1.000 italiani. Dai risultati, il primo dato a colpire è quello relativo al 42% degli intervistati per cui sono i programmi televisivi il canale tramite cui si informa per scegliere quali alimenti consumare. Un dato da non sottovalutare e che mette in evidenza, ulteriormente, la forza ma soprattutto la responsabilità che oggi i mezzi di comunicazione, in particolare televisivi, detengono di fronte a certi temi. «I risultati dell’indagine Doxa, nel complesso, sottolineano una problematicità che avevamo riscontrato da tempo: l’informazione non equilibrata e non corretta di alcuni mass media sta creando nel consumatore dubbi e, a volte, ingiustificati allarmismi – commenta Ivano Vacondio, Presidente ITALMOPA – Emerge, infatti, una grande e preoccupante ignoranza sulla filiera farina. E’ emblematico il fatto che ben il 55% degli intervistati associno la farina di frumento tenero alla pasta, che notoriamente è invece prodotta con le semole di frumento duro, e che il 65% ritenga che l’Italia importi una quantità rilevante di farina da altri Paesi, mentre le importazioni di farine costituiscono circa lo 0,2% del loro utilizzo totale. Questo – prosegue Vacondio – è il risultato di presunti scoop mediatici con i quali dobbiamo confrontarci costantemente e che pone al centro il presunto, e spesso inesistente, scandalo piuttosto che l’autorevolezza delle fonti di informazione, la loro trasparenza e veridicità. Oggi, a titolo esemplificativo, si sottolineano con enfasi, biasimandole, le importazioni di frumento, tralasciando colpevolmente di evidenziare che tali importazioni, spesso particolarmente onerose, sono assolutamente, e purtroppo, indispensabili per ovviare al deficit quanti qualitativo della produzione nazionale. Bisogna smetterla di demonizzare sempre e comunque le importazioni – conclude Vacondio – un atteggiamento certamente dannoso per l’industria molitoria e l’intera filiera cerealicola ma, soprattutto, irrispettoso nei riguardi dei consumatori. Perché non evidenziare invece l’impareggiabile e straordinaria abilità dei nostri mugnai a individuare, selezionare, miscelare le varietà più pregiate di frumento, qualsiasi siano le loro origini, per produrre delle farine di altissima qualità destinate ai prodotti simboli del Made in Italy agroalimentare. Una capacità che può essere considerata come una vera e propria arte, riconosciutaci e, forse, invidiataci, nel mondo intero».

Un deficit quantitativo e qualitativo
Il 2016 ha fatto registrare i raccolti nazionali di frumento più elevati nell’ultimo decennio. Nonostante ciò, rispetto alla richiesta dell’industria molitoria, sussiste ancora un forte deficit sia quantitativo che qualitativo. Pertanto, il nostro Paese si trova nell’obbligo di importare circa il 60% del proprio fabbisogno nel comparto del frumento tenero e circa il 40 % nel comparto del frumento duro.

Il problema importazioni
Ciò che sembra preoccupare maggiormente i consumatori, e che riflette pienamente alcuni messaggi irresponsabili e fuorvianti veicolati da alcune Confederazioni agricole e, purtroppo, riportati e amplificati senza le opportune verifiche da alcuni mass media, sono i controlli effettuati proprio sulle importazioni. Il 63% del campione intervistato dalla Doxa, infatti, dichiara di non credere che il frumento importato offra le stesse garanzie di igiene e sicurezza alimentare del prodotto nazionale. Questo è un errore comune, dovuto alla mancanza di una corretta informazione in materia: il frumento importato, infatti, rispetta pienamente, e non potrebbe essere diversamente, le disposizioni previste a livello comunitario - le più severe al mondo, a giusta tutela della salute dei consumatori - per quanto riguarda la presenza massima di contaminanti ed è sottoposto a sistematici e severi controlli effettuati dagli organi pubblici di vigilanza e dalle stesse aziende molitorie nell’ambito dei sistemi obbligatori di autocontrollo.

Informazione caotica
«In un momento come quello che stiamo vivendo, nel quale domina un’informazione esasperata, caotica e spesso contraddittoria, è importante puntare su conoscenze solide e accreditate, che siano la base per la formazione di comportamenti di consumo consapevoli – aggiunge Giorgio Donegani, Tecnologo alimentare, esperto di nutrizione – L’informazione non coincide con l’educazione: la prima mira a dare strumenti di conoscenza, ed è imprescindibile presupposto per educare. L’educazione punta infatti a motivare e favorire l’applicazione delle conoscenze sul piano dei comportamenti pratici».

Vade retro glutine. La grande bufala dettata dalle mode
Uno dei principali e, a tratti, pericoloso, errore degli italiani emerso dall’indagine Doxa-Italmopa è relativo alla percezione del glutine. Il 47% degli intervistati, quasi 1 italiano su 2, è convinto che sarebbe bene eliminare o ridurre fortemente il consumo di prodotti contenenti glutine, anche per chi non è celiaco o intollerante al glutine. Nulla di più sbagliato però. «Bisogna sfatare il mito del glutine – sottolinea a gran voce la nutrizionista e divulgatrice scientifica Elisabetta Bernardi – in un settore, quello delle diete, in cui la testa conta quasi più dell’intestino, bisogna tenere bene a mente che, se non si è celiaci o se non si ha una comprovata sensibilità al glutine, non si ottiene alcun beneficio per la salute eliminandolo dalla propria dieta. Tantomeno si dimagrisce! I cereali e le farine che ne derivano – prosegue l’esperta – costituiscono una fonte fondamentale di nutrienti sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Sono fonte importante di energia, derivata soprattutto dai carboidrati, ma anche dalle proteine e apportano fibra, vitamina E, alcune vitamine del gruppo B, il magnesio e lo zinco. Oggi siamo sempre più concentrati sul cibo e siamo sempre più bersagliati e attratti dalla comunicazione relativa al cibo: programmi televisivi che parlano di cibo, chef che diventano celebrità, alcuni stili alimentari errati che hanno una crescente popolarità. Il paradosso è qui: ci sono sempre più persone interessate al cibo ma in realtà ci stiamo sempre più allontanando da esso. La popolazione diventa sempre più obesa anche se siamo sempre più ossessionati dai grassi, dalle calorie e dall’indice di massa corporea».

I timori per la qualità
«Nel campo delle farine si è passati dalle canoniche 0 e 00 alle decine di tipologie di farine presenti oggi sul mercato. Insieme alla moltiplicazione delle tipologie sono arrivati, però, anche i timori sulla qualità di alcune di esse e tanti pregiudizi – aggiunge la foodblogger (fondatrice del sito Giallo Zafferano) e conduttrice televisiva Sonia Peronaci – Io, seppur intollerante al glutine da qualche anno, ho sempre pensato che il vero segreto per non incorrere in problematiche sia variare, provare e sperimentare. Non limitiamoci a utilizzare una sola farina ma, a rotazione, introduciamole nella nostra dieta imparando a riconoscerle e sfruttarle al meglio».

Un mondo oscuro
«Quello delle farine è sovente descritto come un mondo nebuloso che una, troppo spesso, non corretta comunicazione oggi contribuisce a rendere ancora più oscuro – evidenzia Ezio Marinato, Mastro panificatore – In realtà bisogna conoscerle bene per apprezzarne tutte le diverse qualità e proprietà. Non esistono farine buone e meno buone, ma unicamente farine più o meno adatte ai diversi usi. La scelta di una farina è condizionata non solo dal tipo di prodotto che si vuole ottenere, ma anche dai sistemi di lavorazione che si adottano: impasti più veloci e lievitazioni lunghe richiedono farine caratterizzate da forza e tenacità elevate che si riescono ad avere solo attraverso una giusta miscelazione di frumenti dalle differenti caratteristiche tecnologiche».

Il 32% degli italiani ha ridotto il consumo di pane negli ultimi tre anni
Italiani, quindi, sempre più obesi o più attenti alla linea? Di sicuro più diffidenti nei confronti dei carboidrati, come dimostrano le risposte della maggior parte del campione intervistato, che dichiara di aver diminuito il consumo di pane e, ma in misura assai più limitata, di pizza proprio a causa di diete alimentari.

La riduzione
L’utilizzazione di sfarinati di frumento tenero nel 2015, secondo i dati Italmopa, si è attestata a 4.018.000 t con una riduzione dello 0,2 % rispetto al 2014. Un trend che conferma gli andamenti degli anni precedenti e che rispecchia, appunto, la continua e preoccupante riduzione del consumo del pane. Un calo che è stato confermato anche dall’indagine Doxa: il 32% degli italiani dichiara di consumare oggi meno pane rispetto a 3 anni fa, ponendo ormai l’Italia in coda ai consumi rispetto agli altri principali Paesi comunitari. Tutto questo nonostante la rilevanza che riveste tale prodotto dal punto di vista nutrizionale, salutistico, ambientale, storico, culturale, economico e sociale. Un prodotto che, secondo gli operatori, costituisce a pieno titolo un patrimonio del nostro Paese e che, pertanto, deve essere tutelato anche attraverso un’informazione che ne esalti le impareggiabili qualità.

Il rilancio del consumo di pane
La Gdo (Grande Distribuzione Organizzata) può avere un ruolo importante nel rilancio dei consumi? Quale può essere l’impegno concreto, oltre alle strategie di comunicazione e marketing? «La GDO può senz’altro avere un ruolo nel rilancio dei consumi di pane – commenta Giuseppe Ferrandi Responsabile Panificazione Esselunga S.p.A. – In Esselunga, per esempio, offriamo quotidianamente pane fresco e fragrante, sfornato costantemente durante l’intero arco della giornata e realizzato secondo ricette tradizionali. A dimostrazione di questo, oltre 2.000 persone in 120 panifici producono e servono ogni giorno le stesse 19 varietà di pane. Un impegno concreto e quotidiano, appunto».

Una nota positiva
Una nota positiva è quella che vede, nonostante un consumo più attento rispetto al passato, come il pane «non può mancare sulla tavola degli italiani, per il suo valore simbolico e per le sue proprietà salutistiche e nutrizionali» per l’88% degli italiani intervistati dalla Doxa. Un valore riconosciuto da quel 79% che lo ritiene un «alimento che ben si adatta a uno stile di vita sano». Certamente un punto di partenza in vista di una solida, duratura e auspicabile inversione di tendenza dei consumi.