Ecco la proteina che aiuta a ritrovare la memoria
Una proteina neurale appena scoperta potrebbe essere alla base della perdita di memoria, deficit cognitivi e malattia di Alzheimer
Buone news per le persone che soffrono di deficit cognitivi: alcuni ricercatori statunitensi sembrano aver trovato la chiave per ritrovare la memoria. Pare che alla base di tutto via sia una proteina che migliora la memoria e il volume cerebrale. Ecco i risultati dello studio.
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Anche per i pazienti affetti da Alzheimer
La soluzione teorizzata dagli scienziati potrebbe aver ripercussioni positive anche nei pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer. Alti livelli di una particolare proteina, infatti, sembrano essere associati a una migliore memoria e a un aumento del volume cerebrale. Questa scoperta consentirebbe di prevedere la progressione della perdita di memoria e atrofia cerebrale in chi è affetto da demenza e Alzheimer.
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Uno studio mostra che è possibile ritrovare la memoria compromessa dalla malattia di Alzheimer con una terapia programmatica e personalizzata.
Una proteina neuronale
La proteina incriminata sarebbe un tipo di proteina neuronale chiamata pentraxina-2, o NPTX2 che, secondo quanto dichiarato nella rivista Brain, Behavior and Immunity, quando presente in basse quantità diminuirebbe la memoria riducendo il volume della massa cerebrale. «NPTX2 sembra esercitare un effetto protettivo. Più ne hai, meno atrofia cerebrale e una migliore memoria avrai nel corso del tempo», ha dichiarato la ricercatrice Ashley Swanson della Iowa State University (Usa).
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Prevedere la malattia
Durante lo studio i ricercatori hanno esaminato vari aspetti del sistema immunitario, constatando quali sono più o meno rilevanti per il monitoraggio della malattia di Alzheimer. Dai risultati è emerso che alcune proteine come la NPTX2 e chitinasi-3-like-proteina-1 (C3LP1) sono in grado di prevedere l’insorgenza della malattia. A tale scopo sono stati analizzati quasi trecento adulti in termini di memoria a distanza di 6 mesi, un anno e due anni. All’inizio dello studio, solo un’ottantina di partecipanti aveva funzioni cerebrali normali, mentre 135 avevano un deterioramento cognitivo lieve e 64 già erano affetti dalla malattia di Alzheimer. Al termine dello studio, durato 24 mesi, si è potuto notare come la scarsità della proteina NPTX2 avesse procurato fluttuazione nella perdita di memoria e, in percentuale minore, una riduzione del volume del lobo temporale medio: un’area cerebrale direttamente collegata con la memoria a lungo termine.
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Nuove ricerche
Indubbiamente saranno necessaria nuove ricerche a sostegno della teoria. Quello che è certo è che, nel caso venisse confermata, la strada verso la realizzazione di nuovi farmaci sarebbe già spianata. Occorrerebbe solo del tempo agli scienziati affinché trovino il modo di integrare tale proteina artificialmente. È indubbio che gli anni che verranno saranno determinanti per la ricerca di una nuova soluzione terapeutica per questo genere di malattie degenerative.