23 agosto 2025
Aggiornato 10:30
Sa trasferire al cervello le percezioni che avverte

Ecco la pelle artificiale che ha il senso del tatto

È flessibile, simile a quella umana e dotata di sensori di pressione organici fatti di nanotubi di carbonio: è la prima pelle artificiale che ha il senso del tatto e sa trasferire al cervello le percezioni che avverte.

NEW YORK - Ricercatori statunitensi sono riusciti a produrre una pelle artificiale sperimentale capace di percepire gli oggetti, che potrebbe un giorno permettere alle persone che utilizzano una protesi di avere una sensazione vicina al tatto. Gli scienziati sperano inoltre che questa tecnologia, ai primi stadi di sviluppo, possa migliorare il controllo della protesi e minimizzare, se non eliminare, la sensazione dell'arto fantasma, che colpisce circa l'80 per cento degli amputati. Il lavoro, a firma Alex Chortos e Andre Berndt dell'Università di Stanford in California, è stato pubblicato nella rivista Science.
Gli autori dello studio spiegano di aver utilizzato circuiti organici flessibili e sensori di pressione per riprodurre la sensibilità della pelle. Inoltre hanno precisato di essere riusciti a trasmettere questi segnali sensoriali a cellule cerebrali in laboratorio attraverso l'optogenetica.

Come sensori sono stati utilizzati nanotubi
L'optogenetica, una nuova branca della ricerca che combina l'ottica e la genetica, è principalmente basata su una proteina che possiede la proprietà di essere attivata dalla luce blu.
Gli autori della ricerca sono riusciti a convertire la pressione statica d'un oggetto sulla pelle in dati numerici corrispondenti ai differenti gradi di forza meccanica che può percepire una pelle umana.
Come sensori sono stati utilizzati nanotubi di carbonio modellati a forma di piramide, particolarmente efficaci per la canalizzazione dei segnali di campo elettrico delle oggetti vicini. Questi ultimi sono captati da elettrodi e, in questa maniera, riescono a massimizzare la sensibilità.

Sviluppate nuove proteine optogenetiche
Il trasferimento dei segnali numerici captati dalla pelle artificiale fino ai neuroni della corteccia cerebrale ha rappresentato un grande problema: le proteine utilizzate in optogenetica non stimolano le cellule neuronali sufficientemente a lungo da permettere di percepire il segnale numerico, hanno spiegato i ricercatori.
Hanno quindi dovuto fabbricare nuove proteine optogenetiche, capaci di lasciare intervalli più lunghi tra le stimolazioni per permettere ai neuroni di reagire.

(Fonte Afp)