29 marzo 2024
Aggiornato 05:30
L'intervista

Paolo Tiramani: «La Lega ha perso perché è diventata la brutta copia di Fratelli d’Italia»

L’onorevole Paolo Tiramani, deputato uscente della Lega non ricandidato in parlamento, spiega al DiariodelWeb.it le ragioni del tracollo del partito alle elezioni.

Giorgia Meloni e Matteo Salvini
Giorgia Meloni e Matteo Salvini Foto: Agenzia Fotogramma

Al boom di Fratelli d'Italia ha fatto da contraltare, dentro la coalizione di centrodestra, il crollo della Lega. Peggio addirittura delle più fosche previsioni dei sondaggi: dal 34,3% delle elezioni europee 2019, il partito di Matteo Salvini è crollato in tre anni a meno di un quarto dei consensi, assestandosi all'8%. Un risultato che non può che aprire una riflessione sulla leadership all'interno del Carroccio. Il DiariodelWeb.it ha interpellato l'onorevole Paolo Tiramani, segretario provinciale leghista di Vercelli e deputato uscente ma non ricandidato per i rapporti conflittuali con il segretario regionale Riccardo Molinari.

Onorevole Paolo Tiramani, come riassumiamo l'esito delle elezioni per la Lega?
Di sicuro non esaltante. Ci si aspettavano altre percentuali ed essere scesi sotto il 10% è un risultato negativo, è sotto gli occhi di tutti.

E la responsabilità a chi va ascritta?
Più che una responsabilità singola individuo vari fattori che ci hanno portato a non essere premiati dagli elettori. Intanto le liste sono state stilate senza tenere conto delle richieste dei territori. Non lo dico perché riguarda anche me: è stato un modus operandi generalizzato. Anche essere stati al governo ha pesato molto, così come le posizioni differenti tenute a volte anche da alcuni governatori. Senza dimenticare la perdita di alcuni nostri temi identitari, che ci ha fatti diventare una brutta copia di Fratelli d'Italia.

Andiamo con ordine. Aver aderito al governo Draghi, con il senno di poi, è stato un errore?
Sicuramente stare all'opposizione sempre ha premiato la Meloni. Noi abbiamo cercato di tenere un comportamento responsabile, però anche mentre eravamo al governo, nel partito c'erano posizioni divergenti su tutto: sì vax e no vax, chi sull'economia la pensava in un modo e chi in maniera diametralmente opposta. Questo ha disorientato gli elettori.

Non c'è stata abbastanza sintesi politica, insomma.
C'erano troppe anime e la situazione tendeva a ingarbugliarsi.

Poi c'è la formazione delle liste, che chiama in causa i vertici territoriali. Lei ha fatto riferimento a criteri di personalismo e di simpatie.
Sì. La mia esperienza è che il direttivo provinciale ha indicato alcune candidature e invece ne sono state scelte altre che a livello territoriale non erano gradite. Questo ha portato i militanti a fare campagna elettorale in modo poco convinto o a non farla del tutto. Se non si mette in campo i migliori, in un momento in cui il partito già era in difficoltà secondo i sondaggi, le negatività si sommano.

I candidati sono stati calati dall'alto?
Per quanto riguarda il mio territorio, assolutamente sì. Non sono stati concordati delle segreterie provinciali in carica.

Quanto alla questione identitaria, invece, forse il processo è iniziato quando la Lega si è trasformata da partito del Nord in forza sovranista e nazionale?
È innegabile che abbia funzionato: riconosco che Salvini ha portato la Lega dal 3 al 34%. Però forse ci siamo concentrati troppo su questi temi nazionali, che al nostro elettorato trainante del Centro-Nord interessano poco. Questo lo si vede dai dati di alcune Regioni, dove oggi siamo al 3-4%. Si poteva comunque portare avanti la Lega nazionale ma valorizzando l'autonomia differenziata. Che adesso torna in voga per il primo Consiglio dei ministri del nuovo governo.

L'innegabile spinta propulsiva che ha avuto Salvini ora si sta esaurendo?
Io rispetto molto i congressi. Io stesso sono ancora segretario provinciale e, dopo sei anni, mi sembra giusto cedere il passo a breve. Magari Salvini può ripresentarsi alla prossima assemblea con una squadra rinnovata e si possono creare le condizioni perché vada avanti lui.

Un richiamo alla democrazia interna, che metta fine al famoso partito stalinista.
Non penso che la parabola di Salvini sia necessariamente giunta alla conclusione. Ma, secondo il mio modesto parere, dovrebbe dare spazio alle esigenze dei territori. Magari con delle persone più accorte intorno a lui, capaci di ascoltare questi sentimenti, si potrebbe fare meglio. Non deve essere il segretario il capro espiatorio, anzi. Ma sicuramente l'organizzazione è stata deficitaria, altrimenti non saremmo arrivati all'8%.

Qualcuno va cambiato, insomma: magari non Salvini, ma le persone a lui più vicine sì.
Quello sicuramente.

E per quanto la riguarda, che progetti politici ha ora che non sarà più in parlamento? Io sono un imprenditore e ho ripreso a lavorare a testa bassa sulla mia attività. Ho fatto il sindaco, il consigliere regionale, ritorno a essere un semplice militante. Con l'unica ambizione che il mio partito, nel quale milito da 21 anni, ritorni ad avere un'ossatura democratica come in passato, un'organizzazione piramidale ma condivisa.