19 marzo 2024
Aggiornato 06:00
L'intervista

Ricchiuti: «Il Governo rispolvera il redditometro, una notizia deprimente e disarmante»

Il vice responsabile nazionale imprese e mondi produttivi di Fratelli d'Italia, Lino Ricchiuti, boccia al DiariodelWeb.it la proposta del governo di rimettere in vigore il redditometro

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi
Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi Foto: Unione Europea

Come uno zombie è risorto dalla propria tomba il redditometro. Una vecchia conoscenza (non certo gradita) che si riaffaccia sul già poco invidiabile panorama del fisco italiano. Si tratta, in parole povere, di uno strumento per calcolare il reddito presunto del contribuente sulla base delle sue spese: se la valutazione dell'Agenzia delle Entrate dovesse essere superiore al dichiarato, scatterebbe inevitabile l'accertamento. Accantonato nel 2018 dall'allora governo Conte 1 per essere aggiornato, è stato improvvisamente rispolverato a sorpresa dall'esecutivo di Draghi. Che ha chiesto entro il prossimo 15 luglio il parere delle associazioni di consumatori. Subito dal centrodestra si sono levati gli scudi: uno dei partiti più critici è stato Fratelli d'Italia. Con il DiariodelWeb.it ha parlato il vice responsabile nazionale imprese e mondi produttivi Lino Ricchiuti.

Lino Ricchiuti, dopo quattro anni in cui non se ne sentiva più parlare, è risbucato fuori il redditometro. Che impressione vi ha fatto?
È stato un effetto davvero disarmante, una notizia deflagrante.

All'epoca questo strumento era stato accantonato perché poco efficace, in quanto macchinoso e difficile da applicare.
Quattro anni fa il redditometro fu messo da parte perché non aveva prodotto nessun risultato, ma nel contempo aveva creato una valanga di contenziosi. Che, tra l'altro, sono ancora in essere.

Qual era il suo peccato originale?
Il redditometro prevede che l'Agenzia delle Entrate sostenga che il contribuente ha evaso una determinata somma, e dev'essere lui a dimostrare che non è vero. Un'inversione totale dell'onere della prova. E questo è soltanto l'inizio di un grosso problema che ha attanagliato le imprese in questi anni.

In che senso?
Quando si va in contenzioso, anche da innocenti, conviene mettersi d'accordo, perché la normativa è quasi sempre contro il contribuente. Si può fare opposizione, è vero, ma intanto bisogna pagare un terzo della somma richiesta. Poi si va in commissione tributaria e, anche quando si vince in primo e in secondo grado, l'Agenzia delle Entrate non si ferma, ma continua a fare ricorso fino alla Cassazione. Tanto gli avvocati mica li pagano loro. Il cittadino, invece, rischia di perdere soltanto perché è rimasto senza più soldi per pagare le spese. Questo è un sopruso.

Stiamo per fare un passo indietro e tornare alla persecuzione e alla colpevolizzazione fiscale?
La sinistra italiana è ancora schiava di un retaggio culturale già bocciato dalla storia. Sicuramente l'hanno buttato sul tavolo per scompigliare le carte, ma il messaggio che viene mandato è deprimente: si continua a pensare che chi ha un'attività sia un'evasore fino a prova contraria.

Il vice responsabile nazionale imprese e mondi produttivi di Fratelli d'Italia, Lino Ricchiuti
Il vice responsabile nazionale imprese e mondi produttivi di Fratelli d'Italia, Lino Ricchiuti (Ufficio stampa FDI)

Questo è il modo migliore per fare la lotta all'evasione?
Vorrei far capire ai compagni della sinistra che la piattaforma Booking, dove si paga con carta di credito, è stata accusata di aver evaso oltre 150 milioni di euro. E questi continuano a prendersela ancora con l'artigiano, con il commerciante, con il piccolo imprenditore: che sono i figli dei loro elettori storici di riferimento. Ormai la sinistra è al governo da quasi dieci anni: hanno chiuso Equitalia per aprire Agenzia delle Entrate Riscossione, che è ancora più invasiva; hanno sostituito gli studi di settore con gli Isa, ancora più vessatori; non contenti, hanno fatto la fatturazione elettronica e il tetto al contante. Senza ottenere risultato. Ma non gli passa per la mente che forse stanno cercando nel posto sbagliato?

E a chi vi accusa di stare dalla parte degli evasori che cosa rispondete?
Se c'è un partito in Italia che combatte l'evasione quello è proprio Fratelli d'Italia. Ma l'evasione va combattuta lì dov'è. Noi abbiamo depositato numerose proposte di legge per contrastare l'evasione e l'elusione delle multinazionali, contro le frodi carosello, per evitare la brutta pratica dei market apri-e-chiudi degli extracomunitari. Purtroppo gli ultimi governi ce le hanno sempre bocciate. E saremmo noi quelli a favore degli evasori?

Per giunta sorprende il tempismo di questa proposta, in una fase di crisi post pandemia.
Pensiamo che, per la prima volta da quando ci sono le rilevazioni Istat, le partite Iva sono scese sotto i cinque milioni: al minimo storico. E si rischia ancora la chiusura di quasi il 40% delle imprese. Fratelli d'Italia sta studiando giorno e notte per capire come evitarlo.

Voi avete annunciato battaglia. Ci può essere una convergenza tra tutto il centrodestra, alla luce della contrarietà anche di Forza Italia e della Lega?
Abbiamo sempre affermato che, momentaneamente, Lega e Forza Italia sono al governo. Ma la coalizione vive sulla piena collaborazione e sulla piena sintonia, come dimostrano anche i candidati sindaci. Noi, dall'opposizione, cerchiamo di pungolare il governo, anche coinvolgendo gli altri partiti del centrodestra. Non c'è nessun problema, da questo punto di vista.

Intanto solo in questi giorni sono partiti i contributi a fondo perduto per le partite Iva, previsti dal decreto Sostegni bis. Con quasi una settimana di ritardo.
Purtroppo è così. Il ministro aveva tranquillizzato in tal senso il 7 giugno in commissione. Nel frattempo in moltissimi stanno già ricevendo le chiamate dai commercialisti per le scadenze, ad esempio, dell'obolo della Camera di commercio. Ma i sostegni, ad oggi, non si sono ancora visti. Questa, purtroppo, è una delle problematiche che temevamo: se si fa un governo con partiti che hanno interessi totalmente diversi, è ovvio che ci siano dei ritardi, quando i provvedimenti devono prendere forma. E il Paese, quello vero, aspetta.