De Carlo: «Il lockdown provoca danni psicologici gravi. E la politica li sottovaluta»
Alessandro De Carlo, psicologo e docente all'università di Padova, parla al DiariodelWeb.it delle conseguenze psicologiche della pandemia e delle misure restrittive
A forza di concentrare tutta l'attenzione e tutte le risorse contro il Covid-19, la politica è quasi caduta nell'equivoco che essere in salute significhi non essere contagiati da un virus. Finendo così per sottovalutare pericolosamente tanti altri elementi fondamentali per il benessere, a partire dall'aspetto psicologico. Ad accendere il riflettore sulle gravi conseguenze per la psiche degli italiani provocate dal coronavirus, ma anche dal lockdown che ne è conseguito, ai microfoni del DiariodelWeb.it, è il professor Alessandro De Carlo, psicologo, psicoterapeuta e docente all'università di Padova.
Dottor Alessandro De Carlo, quali sono le conseguenze psicologiche della pandemia e delle misure restrittive?
Fondamentalmente l'effetto che stiamo vedendo in questo momento è una diffusione di stati ansiosi e di stress estremamente alta. Parliamo di dati che, incrociando le diverse rilevazioni, non sono mai stati inferiori al 65% della popolazione dal lockdown scorso. Significa che la maggioranza degli italiani ha avuto consapevolezza di episodi di ansia o di stress tendenzialmente elevati. Sono numeri molto, molto gravi.
Sono sfociati anche in vere e proprie patologie?
Questo tema è un po' più delicato. In alcuni casi sì. Prendiamo lo stress, che ha tre tipi di effetti. Quello fisiologico: problemi gastrointestinali, cardiovascolari e del sonno. Quello psicologico: situazioni di ansia, disturbi del sonno e dell'umore, tra i quali l'estremo è la depressione. Quello comportamentale: peggioramento delle abitudini quotidiane, come mangiare, bere o fumare di più ed eventualmente consumare stupefacenti, oppure aggressività e comportamenti antisociali. Una funzione fondamentale è il tempo: più lo stress si protrae, più è possibile che gli effetti sono severi. Più gli effetti sono severi e protratti, più rischiano di diventare una patologia. La tolleranza delle singole persone è diversa: per alcuni ci possono volere cinque mesi, per altri cinque anni.
Quindi, più questa situazione si protrae nel tempo, senza peraltro avere un orizzonte definito, più si rischia?
Più si alza la probabilità che questi sintomi naturali diventino patologici. Ma non bisogna nemmeno terrorizzare la popolazione: la maggior parte delle persone non sono patologiche, ma stressate. Questo è fondamentale. Sentirsi a disagio è normale, non significa essere malati. Sarebbe strano il contrario.
Ci sono delle fasce della popolazione maggiormente colpite?
La risposta breve è no. Quella un po' più complessa è: dipende. Tutti ne siamo colpiti, la gravità dipende dal tipo di certezze che si hanno. Bambini e adolescenti sono tra i più colpiti, perché gli si toglie una buona parte della socializzazione, in una fase in cui essa è molto importante. Non dimentichiamo gli anziani, subito rinchiusi perché più a rischio, e molti dei quali non hanno potuto vedere i loro cari. Magari quelli in uno stato di demenza iniziale si chiedono perché nessuno li vada più a trovare: sono scene drammatiche.
E gli adulti?
Penso ai ristoratori, ai barbieri, alle partite Iva. Qualunque persona, se gli si mette a repentaglio l'attività lavorativa a cui ha dedicato la vita e la passione, e con cui sfama la famiglia, subisce sempre stress. Chi ha qualche appiglio per rendere la situazione meno stressante sono le persone in buona salute, con una casa sufficientemente grande e un reddito fisso garantito e sicuro. Anche se soffrono anche loro, perché possono fare molto meno cose, e vivevano meglio un anno e mezzo fa.
Alla luce di queste conseguenze, pensa che nel decidere le misure restrittive si sia data troppa poca importanza alla salute psicologica rispetto a quella fisica?
Certamente, questo è un fatto. Così come è stata sottovalutata la questione economica. Non entro nel merito del fatto che la chiusura abbia o meno aiutato a contenere il virus: non è mestiere mio. Ma, rispetto a quello che la politica pensava essere il bene per la salute fisica, tutto il resto è stato messo in secondo piano. Da un lato c'era la ragione di tutelare i più deboli, dall'altra una forte pressione dell'opinione pubblica che si è spaventata, soprattutto all'inizio. Ma la politica deve smetterla di trincerarsi dietro al ritornello: «Ce lo ha detto la scienza». La scienza non dice niente.
Cosa intende?
La scienza è un metodo, applicato dalla comunità scientifica, la quale è fatta di tante persone. Il medico dice di chiudere tutto, l'economista dice che chiudendo si provocano dei danni economici, lo psicologo dice che chiudendo tutto per un anno la gente dà di matto. Il ruolo del politico è scegliere, in buona fede, a chi dare retta. Cioè valutare quelli che si pensa siano i costi e i benefici. La politica ha scelto: si prenda la responsabilità. La scienza è una foglia di fico, non c'entra niente. Si sono ascoltati soltanto i medici.
Ce ne si è resi conto apertamente quando Draghi ha parlato dell'inutilità di vaccinare gli psicologi di 35 anni.
Nel frattempo Macron pagherà dieci sedute a tutti i minori francesi. Forse Draghi intendeva dire che si può fare psicologia anche da remoto. Questo è vero, ma non tutti i pazienti possono farla online. Che gli psicologi, anche 35enni, possano andare faccia a faccia con i pazienti, è un fatto.
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