19 marzo 2024
Aggiornato 09:30
L'intervista

Borgatti: «Non c'è solo il Covid, così il lockdown traumatizza i nostri adolescenti»

Il professor Renato Borgatti, direttore della Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza alla Fondazione Mondino, lancia l'allarme per i disagi dei giovani

Borgatti: «Non c'è solo il Covid, così il lockdown traumatizza i nostri adolescenti»
Borgatti: «Non c'è solo il Covid, così il lockdown traumatizza i nostri adolescenti» Foto: Pixabay

Non ci sono solo i ricoveri in terapia intensiva e i decessi degli anziani, tra le tragedie provocate dalla pandemia da coronavirus. C'è anche una conseguenza molto più subdola, perché a differenza delle cifre del contagio non finisce tutti i giorni sulle prime pagine di tutti i giornali. Stiamo parlando della depressione tra gli adolescenti, che sta sfociando in un boom di problematiche psicologiche e psichiatriche, fino ad arrivare, purtroppo, addirittura ai suicidi. A lanciare l'allarme, ai microfoni del DiariodelWeb.it, è il professor Renato Borgatti, direttore della Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza della Fondazione Mondino Ircss di Pavia. Che punta il dito su una questione spesso trattata con troppa sufficienza dal governo, quando si tratta di decidere sui lockdown e le misure restrittive.

Professor Renato Borgatti, che genere di disturbi avete riscontrato sugli adolescenti negli ultimi mesi?
Stiamo registrando un aumento in una serie di disturbi molto importanti: quelli del comportamento alimentare, come l'anoressia nervosa, quelli psicotici, quelli di attacco al proprio corpo, dall'autolesionismo fino ad arrivare al tentato suicidio. Ci sono poi stati incrementi in altri disturbi curati a livello ambulatoriale, come le sintomatologie ansiose, gli attacchi di panico, le fobie e le paure, o segnalazioni da parte dei genitori di ritiri sociali, cioè di ragazzini che faticano ad uscire dalla propria stanza. E tutto questo, secondo me, è solo la punta dell'iceberg, perché noi siamo un reparto ospedaliero, quindi ci occupiamo delle patologie più conclamate. Ma, sotto a queste, c'è un disagio che ha interessato, in maniera molto più ampia, la popolazione generale degli adolescenti.

Qual è l'ordine di grandezza di questo aumento?
Tutto sommato, in termini numerici, la situazione non si è modificata molto in occasione del primo lockdown, cioè l'anno scorso. I primi segnali si sono verificati in autunno, inizialmente in maniera subdola, per poi esplodere decisamente a dicembre e confermarsi nei mesi da gennaio a marzo. Numericamente i casi sono più che raddoppiati, per alcune patologie sono cresciuti anche di tre o quattro volte. Ma sono aumentate anche le richieste di ricovero dai pronti soccorso, il che ci indica che è peggiorata la gravità dei sintomi, perché non è più sufficiente il percorso ambulatoriale.

Questi effetti sono stati provocati dal lockdown?
In medicina non è sempre facile identificare una relazione di causa ed effetto. Di fronte ad ogni evento, ci sono persone che ne subiscono conseguenze negative ed altre per le quali lo stesso diventa un’opportunità di crescita. Detto questo, il lockdown e le scelte sociali e sanitarie hanno sicuramente esposto gli adolescenti, più di ogni altro gruppo di persone, ad una situazione difficile e traumatica. A differenza di altre categorie, oltre ad avere subito la paura della malattia e l'incertezza per il futuro, hanno visto interrompersi il loro percorso evolutivo. Per crescere, un adolescente deve abbandonare le figure di riferimento genitoriale, per trovarne di nuove. Cioè, socializzare.

Insomma, agli adolescenti è andata peggio anche rispetto ai bambini più piccoli?
Sì. I bambini più piccoli sono lo specchio dei loro genitori. Se i genitori vivono serenamente, senza grandi paure, non hanno subìto grosse conseguenze, come lutti o la perdita del lavoro, e il clima è sufficientemente sereno, allora i bimbi di quell'età possono quasi avvantaggiarsi della chiusura sociale. Per certi versi, riducendo i ritmi lavorativi e rendendo la vita più tranquilla e umanizzata, il lockdown può avere favorito il legame con gli adulti affettivamente significativi. Per l'adolescente, invece, quest'esperienza è molto più traumatica.

La soluzione che è stata trovata, quella della didattica a distanza, è dunque un palliativo insufficiente?
È uno strumento e, come tutti gli strumenti, bisogna vedere come lo si utilizza. Se ad usare la Dad è un ragazzino responsabile, capace di autodisciplinarsi, che ha già interiorizzato le regole sociali, allora è importante per non perdere il passo dell'apprendimento. Ma la maggior parte degli adolescenti sono più fragili, quindi la Dad li ha trovati impreparati. Non dal punto di vista tecnologico, ma di maturità. La scuola è molto di più del semplice passaggio d'informazioni: c'è tutta una serie di stimoli sociali, relazionali e culturali che i ragazzi si stanno perdendo.

Pensa che nella valutazione delle misure restrittive questo aspetto sia stato tenuto sufficientemente in conto oppure ci si è limitati a pensare al contagio?
Si è privilegiato alcune categorie a discapito di altre. Ci si è preoccupati della dimensione dell'infezione, infatti tutta la comunità scientifica che consiglia i ministri è composta da virologi, internisti, pneumologi... La scelta è ben precisa: si crede che questa pandemia porti danni solo a livello infettivologico. Tutti gli altri problemi li stiamo dimenticando. Quando il nostro presidente del Consiglio fa una gaffe clamorosa, indicando come categoria vaccinata inutilmente gli psicologi di 35 anni, ci dice quello che pensa davvero. Cioè che il benessere emotivo e psicologico rappresenta una salute di serie B rispetto a quella fisica.

Sarebbe stato opportuno vaccinare, ad esempio, i giovani prima degli anziani?
Si potevano fare delle scelte diverse. È più facile dire ad una popolazione di anziani di non uscire di casa, e mandare da loro delle persone che portino la spesa e controllino che stiano bene. I politici rispondono che gli anziani muoiono, ma dovrebbero sapere che i suicidi sono la seconda causa di morte in adolescenza. E che le psicopatologie che stanno emergendo in questo momento, se non trovano adeguate risposte, avranno conseguenze molto gravi sul prossimo futuro.

C'è una precisa responsabilità, dunque, a livello governativo.
Abbiamo una classe politica sensibile a certi problemi e non ad altri. Poi ognuno di noi può trarre le sue conclusioni. Io, ad esempio, penso che se abbiamo un presidente del Consiglio indicato dalle banche, chiaramente sarà più attento ai bisogni dei mercati finanziari e non alla salute.