19 aprile 2024
Aggiornato 23:00
Immigrazione

Se il piano Ue per l’Africa è «una battaglia tutta italiana» (anzi, del Pd). E i privati si leccano i baffi

Il viceministro degli Esteri Mario Giro la rivendica come frutto concreto dell’azione del governo Renzi e del successivo governo Gentiloni

ROMA - L’attivazione del piano europeo per creare lavoro tramite imprese e investimenti nei Paesi africani di origine delle migrazioni «è stata una battaglia tutta italiana», che il viceministro degli Esteri Mario Giro rivendica come frutto concreto dell’azione del governo Renzi e del successivo governo Gentiloni. «A luglio scorso è partito il piano e le imprese stanno cominciando a partecipare, la Cassa Depositi e Prestiti per conto del governo italiano ha presentato tre programmi. Noi abbiamo creato questo strumento per aggiungerlo a quello dell’aiuto pubblico allo sviluppo, quello di cui mi sono occupato": cioè che anche i privati investano in Africa, aiutati – ha spiegato Giro in una intervista ad Askanews – Noi lì li garantiamo perché "sono territori difficili e c’è bisogno di più garanzie sugli investimenti». Questo è lo strumento, "non sono soldi dati in giro" ma sono dati alle nostre imprese "perché facciano. Speriamo che questo porti a un aumento degli investimenti».

"Aiutiamoli a casa loro": sì, ma come?
L’Italia ha fatto dal canto suo molto perché è diventato il terzo investitore lo scorso anno in Africa – anche in questo penso, ha detto il viceminsitro – dopo gli Emirati Arabi Uniti e la Cina. Quindi l’Italia ha fortemente investito. "Noi crediamo che ci voglia anche l’investimento privato». «Poi però dobbiamo intenderci sull’ «Aiutiamoli a casa loro». Chi sono questi loro?», propone di riflettere Giro. «Noi dobbiamo capire che ci sono delle situazioni in cui si può trattare con i governi, altre in cui è meglio trattare direttamente con il settore privato, altre in cui bisogna interfacciarsi direttamente con questa massa giovanile – che non è facile – che decide ormai da sola, essendo saltata con la rivoluzione dell’io tutta la tradizione della famiglia, della tribù, del clan». Così come salta in Occidente e in Europa e abbiamo questi fenomeni di "idiosincrasia individualistica", così sta avvenendo anche in Africa: ci sono gli anziani abbandonati ormai in Africa nelle grandi città, i giovani fanno da soli e non obbediscono a nessuno.

"L’Africa sta cambiando, dobbiamo cambiare anche noi"
Il messaggio che deve venire dall’Europa "non è solo il muro: perché ogni muro si scavalca, anche se magari non tutti riescono subito. Dobbiamo saperlo perché poi c’è uno squilibrio demografico molto forte": tanti giovani in Africa e pochissimi in Europa. Questo crea a volte delle situazioni in cui gli stati nazionali – come l’Italia, la Francia, la Spagna, la Germania – non riescono da soli a gestire. "Quindi dobbiamo studiare approfonditamente il fenomeno». L’Africa sta cambiando, "dobbiamo cambiare anche noi. E sapere che cosa offrire per aiutare loro, quelli veri, quelli ai quali veramente bisogna dare la possibilità. Personalmente credo che i giovani debbano avere anche aperta davanti a loro la possibilità, gli africani, la possibilità di investire a casa loro e diventare imprenditori di se stessi». Fino adesso il grande fornitore di lavoro in Africa è stato lo stato; ma lo stato africano non ce la fa più. "Ci vuole un settore privato serio, conclude l viceministro, quindi imprese che vadano a investire, creino lavoro e si crei lavoro a cascata. E non soltanto imprese che vanno a prendere le materie prime, sia minerali sia agricole, e portarle via. Questo non basta: già era sbagliato in sé e non funziona comunque più».