29 marzo 2024
Aggiornato 08:30
M5s

La straordinaria nemesi del M5s: sempre più veloce la corsa verso l'ex odiato sistema

Non esiste peggior ortodosso di chi è stato un eretico. Il M5s si prepara a abbandonare il credo che fu, in nome del governo. Uno straordinario esempio di gattopardismo e marketing politico

Il leader del M5s Luigi Di Maio
Il leader del M5s Luigi Di Maio Foto: ANSA/ALESSANDRO DI MEO ANSA

ROMA - Non esiste peggior ortodosso di chi è stato un eretico. Il M5s si prepara a diventare un partito di sistema, in virtù dell’abiura del suo credo originario. Una conversione di massa, rivendicata, alle norme che regolano la vita del sistema. Si potrebbe dire «finalmente». Finalmente, ad esempio, il M5s abbandona la retorica manettara, sempre dalla parte dei magistrati, quella che ne ha fatto la fortuna, anche se ha costruito un senso comune intollerante. I proclami giustizialisti per la più piccola macchia «dei partiti che ormai sono morti», pompati da mezzi di comunicazione su cui non avrebbe scritto nemmeno Marat, sono destinati a scomparire nella più scontata delle nemesi. Lo iato tra utopia e realtà, ma quella del M5s era più una distopia, si accorcia, con la prima ormai plasmata su un quotidiano fatto di carne e sangue. Il processo che si farà a Virginia Raggi per falso è ovviamente una sciocchezza: caduta l’ipotesi di reato ben più grave, rimane una bagatella da cui probabilmente ne uscirà per prescrizione. Eppure solo pochi anni fa, per un capo d’accusa così ridicolo, il M5s e i giornali a lui vicino, avrebbero fatto un pandemonio. Oggi si compiace e rivendica che non ci sarà alcuna dimissione anche in caso di condanna, per altro altamente improbabile. Giustamente, sottolineiamo.

Grossi cambia-menti
Gli attivisti della base si preparino, perché grossi cambiamenti sono in arrivo. Al momento tre importanti capovolte ideologiche sono state sdoganate. Il principio della legalità è fondato, come vuole la civiltà, sul garantismo. Prima, il M5s di Beppe Grillo e dei vaffa, pretendeva l’ostracismo, nonché la pubblica gogna, per tutti coloro che venivano anche solo sospettati a mezzo stampa di un reato. Si pensi a al sindaco Iganzio Marino di Roma, cacciato dal suo ruolo senza nemmeno un perché, associato addirittura all’indagine di «Mafia capitale». Non dai cinque Stelle, ma dal clima creato da essi. Si pensi all’urlo di battaglia «onestà, onestà», ormai spentosi anche nelle adunate popolari. Il che ovviamente non significa che ad essere portato a valore sia la disonestà. Secondo: l’orizzontalità è un mero ricordo. L’uno vale uno dei tempi che furono è perfino scomparso dal lessico. Ora la struttura è ultra verticistica e addirittura il candidato primo ministro assurge per proclamazione a capo politico. Solo pochi anni fa, quando chiedevano a Beppe Grillo chi era il capo del M5s, lui chiamava in causa, sprezzante, il figlioletto Ciro di pochi anni. E poi, sempre derisorio, si avvitava in un lungo monologo sulla fine delle ideologie, ormai morte, dilungandosi sui poveri citrulli che ancora credono nella figura del capo. Oggi il M5s ha un capo politico, si chiama Luigi Di Maio. Ciro Grillo, con ogni probabilità è tornato a fare lo scolaro. Il mito della piattaforma democratica via internet giace anch'esso nella pattumiera della storia, dato che serve solo a legittimare le decisioni dei vertici. E nel caso, come a Genova, la base si ribelli alle scelte dei vari capi, il garante può legittimamente azzerare tale voto. Terzo: il M5s diventa un partito. Al suo interno vi sono organi decisionali, correnti, probiviri, regolamenti. Il tutto un po’ confuso, perché la figura del «garante» non ha confini determinati, e quindi come nel caso delle elezioni on line di Genova esso può decidere d’imperio cosa fare. Tre dei più importanti miti fondativi sono quindi stati relegati al cassetto dei ricordi, sostituiti da norme che potrebbero essere utilizzate da un Partito Democratico qualsiasi.

All’orizzonte si vedono altre capriole carpiate
La prima: abbandonata della retorica anti-euro. Qualcuno ricorderà ancora le intemerate, giuste, contro la moneta unica. Nonché il sedicente referendum con relativa raccolta firme nei banchetti. Già oggi l’argomento è scomparso dai radar della comunicazione, e scomparirà del tutto nel momento in cui il M5s vincerà le elezioni. La sottomissione ai poteri forti finanziari, vedi l’umiliante passerella a Cernobbio, fa capire chiaramente che con quel potere il M5s vuole convivere. Secondo: le alleanze prossimo venture. Questo sarebbe veramente un boccone amaro. Ma in caso di vittoria menomata, anche il tal senso prevarrà il cosiddetto pragmatismo. La scorciatoia ideologica è semplice: l’alleanza non sarebbe su partiti bensì sul programma. Ovviamente non con tutti, ma con la Lega di Matteo Salvini, sempre che questo si distacchi dall’abbraccio berlusconiano, sarebbe possibile. Terzo: Il divieto di doppio mandato è già di fatto un lontano ricordo. Scappatoie di ogni genere si stanno inventando per non sprecare esperienze maturate. Accordi internazionali: i grillini della prima ora si mettano il cuore il pace, verranno rispettati. A Torino, dove il M5s governa con la sua sindaca più amata, il M5s non riesce, non vuole, nemmeno a fermare l’apertura di un piccolo zoo, contro cui si era scagliato. Inutile sperare quindi in passi decisamente più importanti, tipo il blocco dei cantieri della Torino-Lione. Questa è la dura vita dell’attivista cinque Stelle: vedere, e accettare, che il principio della realtà domina su ogni altro sentimento. In fondo, come diceva lo scrittore dissidente Solzenicyn, cosa si chiede agli intellettuali, nonché ai politici non completamente ottusi e abbruttiti, che vorrebbero portare avanti un cambiamento reale? Si chiede il martirio. E nessuno, par di capire, nel M5s è disposto al momento a correre il rischio di essere ricordato come un martire.