19 agosto 2025
Aggiornato 05:30
Movimento 5 Stelle

Di Maio a Cernobbio dichiara, dopo dieci anni, la resa del M5s ai poteri forti?

Da Fernando Imposimato ad Aldo Giannuli: gli storici sostenitori del M5s criticano la visita del candidato premier al gotha del potere finanziario ed economico italiano. Dalla rivoluzione alla normalizzazione?

Luigi Di Maio, vice presidente della Camera dei Deputati, al suo arrivo al forum di Cernobbio
Luigi Di Maio, vice presidente della Camera dei Deputati, al suo arrivo al forum di Cernobbio Foto: ANSA / MATTEO BAZZI ANSA

ROMA  - Il decennale di vita del M5s giunge nel momento in cui il candidato premier del Movimento, Luigi Di Maio, espone al gotha del potere italiano riunito a Cernobbio per il Forum Ambrosetti, il loro programma economico. Dieci anni in cui tutto è cambiato: dal Vaffaday, che aveva nel mirino non solo i politici ma anche il mondo della finanza e dell’industria - non tutta ovviamente, bensì quella furbetta e stracciona - alla imbarazzante passerella di fronte agli ex nemici. Il M5s nacque sull'onda degli scandali Parmalat e Telecom: non tanto per un redivivo classismo, anzi. Il M5s denunciava l'inadeguatezza furbesca dell'imprenditoria nazionale, attaccata alla mammella pubblica, compresa quella finanziara: sinceramente, è difficile sostenere che tale condizione sia cambiata. Luigi Di Maio però, a Cernobbio, ci è andato. Visita che ha provocato anche le ironie, difficili da digerire per chi in quel movimento ha creduto, perfino di Mario Monti. I passi tra i velluti di Luigi Di Maio ricordano molto una resa senza condizioni: perché dal vaffa si è passati alla richiesta voti, nemmeno troppo velata. La percezione del grumo duro del Movimento è differente, ovviamente: si va da coloro che sostengono che Di Maio «sia andato a cantargliele», poveretti, ad altri che evidenziano il doveroso confronto con chiunque. Ingenui. Ma, al di là degli entusiasmi di chi fa parte del Movimento, è innegabile che il M5s abbia intrapreso da tempo la strada della normalizzazione rassicurante.

Aldo Giannuli contro il M5s
A sostenerlo - insieme a molti altri, si pensi allo storico ideologo del M5s Paolo Becchi che disse un anno fa "Il sogno è finito. Il M5s è la stampella di Renzi" - è lo storico Aldo Giannuli che in una recente intervista ha evidenziato la deriva "normalizzante" del M5s, incarnata nella persona di Luigi Di Maio. Ma il problema, secondo Giannulli, non sarebbe dato solo da chi sarà il candidato premier, bensì anche dall’annacquamento dell’intera impalcatura ideologica del M5s: sparite le battaglie sociali, in primis la lotta al Jobs Act, finito nel cassetto dei ricordi con l’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Rimane la lotta per l’etica nella politica, impervia come non mai. Resta solo un grande e battente marketing: ma per fare cosa una volta giunti al Governo, ormai, non si sa. Al termine di un lunga marcia durata dieci anni, dopo essere passati da sconosciuti ridicolizzati a potenti temuti, il M5s lancia un messaggio molto chiaro: chi comanda non ha nulla da temere da noi. In sé non è una novità: Torino, la città eletta a esempio del "buon governo a 5S", testimonia il passaggio determinista dei grillini quando giungono al Governo: l’adeguamento ad un contesto statico e l’abbandono immediato di ogni proposta di rottura, per altro scritta nel programma. Il Sistema Torino regna incontrastato, compiaciuto del piegamento ottenuto in soli dodici mesi di coloro che rappresentavano un pericolo reale. E il Sistema Italia, strettamente legato con quello torinese, di fronte ai felpati passi del timorato Di Maio a confronto con il potere, non può che pensare «pericolo scampato».

Determinsmo irreversibile
Disse il dissidente russo Aleksandr Sol¸enicyn: «Coloro che vogliono il cambiamento devono essere disposti al martirio». E’ evidente che il M5s non è pronto per questo passaggio, e ciò è fin troppo comprensibile. «Il coraggio, uno non se lo può dare» balbetta don Abbondio nel 25° capitolo dei Promessi Sposi al cardinale Federigo Borromeo che lo incalza con i suoi rimproveri per non avere il parroco celebrato le nozze di Renzo e Lucia ed essersi fatto intimidire dai bravi inviatigli da don Rodrigo. Il coraggio di passare dai velluti alla polvere non è da tutti. Ma questa dinamica apre scenari ancora più inquietanti: perché se un movimento nato con un chiaro intento sovversivo, in senso costruttivo ovviamente, si riduce a mendicare i voti dei suoi (ex) avversari, allora siamo al cospetto di un sistema totalmente deterministico. Non si può infatti sospettare che coloro che oggi "abiurano" il loro credo passato siano stati fin dal principio in malafede. Più probabile è che essi, giunti al cospetto della meccanica del potere reale, abbiamo constato quanto la teorizzata «dittatura della realtà» sia insuperabile. Ovvero che il potere finanziario speculativo determini tutto. Questo significherebbe la fine non solo del M5s, quello è il meno, ma in generale della democrazia, e ancor più dello stesso principio filosofico. Esisterebbe quindi solo un unico tipo di realtà, quella imposta dalla teocrazia tecnoeconomica: e tale realtà sarebbe eterna e immutabile, impermeabile a qualsiasi volontà umana.

Da Almirante a Berlinguer, c'è posto per tutti. Ma alla fine chi decide?
Ma, a contrastare questa visione normalizzatrice, subentra la geniale strategia di marketing insita nel M5s, che definendosi post ideologico può contenere al suo interno chiunque. Da chi vede con favore l’incontro a Cernobbio di Luigi Di Maio, a Roberto Fico, che invece l’ha definito un errore. Per la verità il deputato napoletano ha fatto ben capire quanto sia deluso dall’evoluzione del Movimento nell’ultimo periodo. E’ doveroso ammettere che l’ammissione di Luigi di Maio, secondo cui nel M5s c’è posto per i camerati quanto per i compagni, è degna di menzione: l’ammissione che il Movimento contiene tutti, democraticamente: solo che poi l’assenza di strumenti decisionali democratici – lo stesso Giannuli dice che le votazioni per il prossimo candidato premier saranno una farsa – rende inefficace tale struttura. In origine, l’idea di un movimento aperto, non inquinato dalle truppe cammellate di partiti o organizzazioni varie, poneva l’idea di Grillo e Casaleggio su un piano decisamente più alto e nobile, poi la dittatura della realtà ha cambiato tutto. Oggi che il candidato premier in pectore si reca a Cernobbio per dire che «l’uscita dall’euro è l’estrema ratio» e a infarinare qualche cosa sul reddito di cittadinanza non si può che restare delusi dal percorso decennale. Il tutto mentre un altro padre nobile, Fernando Imposimato, tuona: «E' davvero triste e intollerabile» che lui vada a sedersi a Cernobbio «con i nemici della democrazia». Ben altra fu la radice culturale del M5s di molti anni fa, almeno fino al 2014: nazional popolare in senso gramsciano, poi sprezzantemente denigrato a populista. E infatti i voti, cioè la spinta democratica, il M5s li prendeva, li prende e li prenderà nelle periferie delle città italiane, laddove la crisi picchia duro e il degrado sociale travolge ogni prospettiva.