28 marzo 2024
Aggiornato 10:30
Immigrazione

L'Africa fa figli, noi no: come l'immigrazione cambierà l'Italia, e gli italiani

Abbiamo intervistato Daniele Scalea, autore di uno studio senza preconcetti sul fenomeno migratorio: 'Nel 2065 gli immigrati in Italia saranno più del 40%, e in un futuro neanche troppo lontano le popolazioni autoctone europee potrebbero persino sparire'

ROMA - «La vera causa della crisi migratoria non sono le guerre o le carestie, bensì la demografia africana». L’Europa e l’Italia affrontano un periodo di flussi migratori in entrata senza precedenti. Ciò dipende in primis dalla concomitanza tra declino demografico europeo (dal 22% della popolazione mondiale nel 1950 al 7% nel 2050) ed esplosione demografica africana (dal 9% al 25% della popolazione mondiale in cento anni). Ad affermarlo, dati alla mano, è Daniele Scalea, analista del Centro studi politici e strategici Machiavelli, che ha appena pubblicato un report dal titolo «Come l’immigrazione sta cambiando la demografia italiana». Un'analisi lucida, senza stereotipi, che ci aiuta a comprendere meglio il fenomeno migratorio di oggi, e di domani. Abbiamo raggiunto al telefono Scalea per farci spiegare meglio i numeri che ha scovato con la sua ricerca, e soprattutto il loro significato.

Nel 2065 gli immigrati in Italia saranno più del 40%
Già oggi, ci spiega Scalea, «in Germania le persone con retroterra migrante sono il 20% ma salgono al 35% tra i bambini con meno di 5 anni», lasciando presagire un grande mutamento nella composizione etnica della prossima generazione. In Francia è proibito compilare statistiche etniche «ma si stima che gli immigrati di prima e seconda generazione siano già oggi più del 20%». E il futuro appare sempre più chiaro: «Secondo elaborazioni e proiezioni di dati Istat, nel 2065 la quota di immigrati di prima e seconda generazione in Italia potrebbe superare il 40% della popolazione totale. Altri studi hanno previsto che più o meno nello stesso anno l'etnia britannica non sarà più maggioritaria a casa propria».

Le nostre culle sono vuote, le loro crescono a vista d'occhio
Un dato altrettanto interessante è che si assiste a una maggiore omogeneità dell’immigrazione: «Le prime dieci nazionalità rappresentano oggi il 64% degli immigrati totali, mentre negli anni ‘70 appena il 13%. Tutto ciò non si discosta da quanto sta accadendo in diversi Paesi dell’Europa occidentale. Questo rende ancora più difficile l'integrazione e favorisce anzi la creazione di comunità chiuse. È evidente che il futuro sarà multiculturale, in Italia non ci sarà più il predominio della cultura italiana bensì un pluralismo all'interno dello stesso Paese». Le culle sono vuole per noi e molto piene per gli africani. «Noi stiamo vivendo il periodo di massimo gap nella fertilità tra europei e africani. Anche l'Africa dovrebbe conoscere una linea discendente come l'Asia verso la fine del secolo, i continenti si avvicineranno in questo senso, ma ora non è così. Cresce il reddito in Africa ma cresce anche la popolazione e quindi gli effetti positivi di questa spinta economica si annullano: «L'Africa sta diventando ancora più povera rispetto agli altri continenti da un punto di vista relativo, quindi la popolazione in forte eccesso non può fare altro che emigrare: prima lo faceva soprattutto internamente al continente, ora lo fa verso l'Europa».

Esplosione demografico e declino europeo
Un'esplosione demografica che va di pari passo con il declino europeo: «Non c'è un rapporto di causa-effetto» conclude Scalea, «ma sono fenomeni che camminano insieme. A emigrare non sono i più poveri, ma i ceti medio-bassi perché hanno maggiore coscienza e vengono da noi a cercare di migliorare la propria vita. Non si può non pensare che in futuro ci sarà una messa in minoranza delle popolazioni autoctone europee, forse persino una loro sparizione».