19 aprile 2024
Aggiornato 03:00
Dopo la richiesta ufficiale dell'esecutivo di Al Serraj

Libia, davvero l'Italia vuole inviare 900 soldati?

Fonti della Difesa e di Palazzo Chigi hanno smentito la notizia secondo cui Roma avrebbe offerto 900 uomini all'esecutivo libico: sarebbero 250 i soldati pronti a sbarcare sul suolo libico per rispondere alla richiesta di aiuto del premier Al Serraj

HANNOVER - E' circolata nelle scorse ore la notizia secondo cui l'Italia abbia offerto all'esecutivo libico di Al Serraj 900 soldati per la Libia, dopo che il premier ha chiesto l'aiuto dell'Onu per proteggere i pozzi e gli impianti di petrolio. Ma poco dopo è giunta la smentita: fonti della Difesa confermano - riferisce Repubblica - che per difendere le organizzazioni internazionali a Tripoli (come ambasciate Onu e Ue e altri uffici internazionali), in una prima fase l’Italia potrebbe schierare 250 uomini fra Esercito e carabinieri. 

Il piano italiano
Tale contingente sarebbe comunque il più numeroso di quelli schierati con insegne Onu. Palazzo Chigi e la Difesa hanno addotto anche una ragione «tecnica» - oltre che «politica» - alla smentita dei 900 uomini: al momento, infatti, si è parlato di impegno militare internazionale solo per addestrare i militari libici o proteggere il governo. Ancora nessun piano, invece, per combattere l’Isis o addirittura per schierarsi fra le diverse milizie libiche che potrebbero riprendere a combattersi nella guerra civile esplosa nell’estate 2014.

L'aiuto di Europa e Usa
In questo quadro, i leader di Stati Uniti e Unione europea hanno ribadito massimo sostegno al governo di Fayez al Sarraj. La richiesta di quest'ultimo è arrivata proprio nelle stesse ore in cui ad Hannover era in corso una riunione tra Barack Obama, Angela Merkel, David Cameron, François Hollande e Matteo Renzi, e, di fatto, spiana la strada per la formazione di una missione internazionale, che potrebbe essere operativa nel giro di qualche settimana.

Italia in prima fila
Quello che per ora è certo è che i cinque Paesi riuniti ad Hannover hanno accolto senza indugi la richiesta di Sarraj, come spiegato dallo stesso Renzi che ha assicurato il «sostegno unanime» del G5 all'esecutivo libico. L'Italia, ha aggiunto il premier, sarà «sensibile» alla richiesta di Tripoli, nel momento in cui sarà «formalizzata». Precisando che i pozzi petroliferi a cui ha fatto riferimento Sarraj non sono quelli dell'Eni, Renzi ha ricordato che quello libico «è il dossier che ci riguarda più da vicino».

Non solo l'Isis
In effetti, la situazione in Libia è particolarmente complessa. Nelle ultime settimane, i miliziani dell'Isis hanno tentato più volte di attaccare i depositi e i check point della «Petroleum facilities guard», la milizia guidata dal giovane rivoluzionario Ibrahim Jadran che da mesi ha assunto la protezione della maggior parte dei pozzi della Cirenaica. Venerdì scorso lo stesso Jadran è rimasto ferito lievemente in uno scontro, e questo ha fatto salire l’allarme nel governo Serraj, a cui Jadran ha giurato fedeltà. Ad aggiungere benzina sul fuoco c'è il generale-ribelle Khalifa Haftar. Capo di una milizia che ha combattuto gli islamisti a Bengasi, il generale  tiene di fatto in ostaggio il parlamento di Tobruk e gli impedisce di votare a favore del governo Serraj. Haftar, tra l'altro, ha ricevuto nei giorni scorsi armi dagli Emirati Arabi, nonostante l'embargo proclamato dall'Onu. A questo punto Haftar, con nuove armi e nuovi finanziamenti, sarebbe in grado di avanzare verso i pozzi petroliferi della «mezzaluna petrolifera», una zona che le sue forze non hanno mai controllato. Ecco perché risulta vitale proteggere i pozzi, attualmente minacciati tanto dall'Isis quanto da Haftar.