23 aprile 2024
Aggiornato 21:00
Non ci sono solo gli scontrini

Dopo Marino, si dimetta anche Renzi

Le dimissioni del sindaco di Roma sono state inevitabili e sacrosante. Ma, più ancora di lui, colpevole del disastro della Capitale, sia penalmente che politicamente, è tutto il Partito democratico. E, se la politica avesse ancora un senso, pure il suo segretario dovrebbe andarsene

ROMA – Sul fatto che le dimissioni di Ignazio Marino non fossero solo inevitabili, ma sacrosante, alla fine della fiera concordano praticamente tutti, salvo qualche ultimo giapponese duro a morire. Attenzione: il sindaco non doveva dimettersi per colpa degli scontrini, come in molti hanno cercato di far passare all'opinione pubblica in questi giorni. Il caso delle spese di rappresentanza sarà oggetto di un'indagine della procura e solo al termine sapremo la verità. Il sindaco, piuttosto, doveva dimettersi per le altre sue colpe che sono emerse in questi due anni di mandato: molto più gravi e tutte politiche. La mancanza di controllo della macchina amministrativa, l'incapacità di guadagnarsi il sostegno della parte sana della società civile romana, i ritardi nello scoprire e mettere mano alle peggiori eredità lasciategli dal predecessore Alemanno, l'inefficienza nella gestione complessiva dei servizi, la debolezza dimostrata contro un Pd azzoppato da Mafia capitale e rivelatosi il suo peggior nemico fin dal primo giorno al Campidoglio. Gli scontrini, semmai, hanno acceso la scintilla in una stanza già da tempo piena zeppa di gas puzzolente. Marino aveva di fronte due possibilità: ammettere le bugie sui suoi commensali e fare un passo indietro oppure resistere, ribadire di essere nel giusto e fare chiarezza. Ha optato per una poco onorevole scorciatoia, sperando di troncare la vicenda con la promessa di restituire i 20 mila euro. Ma, così facendo, ha solo tolto ai suoi pochi difensori d'ufficio sopravvissuti anche l'ultimo alibi: «Almeno è una persona onesta». Oggi questa onestà non possiamo più darla per scontata: la dovrà dimostrare ai magistrati.

Fallimento renziano
Ma questa doverosa intransigenza non si può fermare a Ignazio Marino. Sia sul piano penale che su quello politico, infatti, ben più colpevole di lui è tutto il Partito democratico. Che prima ha contribuito a far marcire il Comune e poi ha ostacolato l'ex sindaco nel suo, pur debole, tentativo di ripulitura. Che prima ha creato questo mostro politico, sostanzialmente per mancanza di alternative, e poi non è nemmeno riuscito a trovargli una dignitosa via d'uscita. Anzi, nel corso dei mesi si è progressivamente incartato su se stesso, senza mai prendere una posizione chiara e coerente, fino a far esplodere un caos di proporzioni bibliche. Il Pd, beninteso, voleva che Marino si dimettesse già nel dicembre scorso, sfruttando lo scandalo delle multe della Panda rossa. Peccato che a quel punto sia scoppiata l'indagine di Mafia Capitale, in cui il partito era invischiato fino al collo, e dunque non si è più potuto permettere di affondare il colpo. Al contrario, invece di fargli una battaglia a viso aperto, ha cominciato a minargli le fondamenta, a delegittimarlo indirettamente: prima imponendogli l'ingresso in Giunta degli assessori orfinian-renziani, poi il mezzo commissariamento del prefetto Gabrielli. Solo l'episodio degli scontrini ha offerto loro la chance perfetta per ottenere finalmente le agognate dimissioni mostrando furbescamente ai romani il loro volto pulito. Di pulito, invece, in questa gestione politica renziana di Roma, non c'è proprio nulla: c'è solo un enorme papocchio, che i cittadini pagheranno con gli interessi ancora per anni, e di cui il segretario piddino è colpevole tanto quanto il suo ex sindaco. Per questo ora, se la politica in Italia avesse ancora un senso, invece di pensare alla squadra di nove commissari a cui affidare quel che resta di Roma, il prossimo a firmare la propria lettera di dimissioni, dopo Ignazio Marino, dovrebbe essere proprio Matteo Renzi.