25 aprile 2024
Aggiornato 04:00
Il giorno del rimpasto

Non solo Marino: lo sfascio capitale è anche colpa di Renzi

Il sindaco cambia la sua Giunta, mentre il premier sta a guardare. E continua a picconarlo, a sperare nelle sue dimissioni, per sostituirlo con un suo fedelissimo. Ma stavolta il suo #Marinostaisereno non funzionerà

ROMA – Il tanto atteso rimpasto della Giunta Marino è arrivato. E perfino entro i tempi previsti, per quanto al termine di un balletto politico ormai diventato estenuante. Oltretutto, nonostante le difficoltà a trovare big del Pd disposti a rischiare l'osso del collo per sostenere un sindaco dall'immagine assai appannata, e nonostante il passo indietro di Sel che si limiterà ad un peloso appoggio esterno, i nomi individuati sono tutt'altro che delle seconde scelte. C'è Marco Causi, che rappresenta la continuità con la rimpianta era Veltroni, e sarà vicesindaco con tanto di pesanti deleghe al Bilancio e al Personale. C'è Marco Rossi Doria, ex sottosegretario, che dovrà gestire le Periferie e la Scuola. E poi c'è Stefano Esposito: al termine di un lungo braccio di ferro, la patata bollente dei Trasporti è stata affidata a lui, senatore di origine torinese, orgogliosamente «sì Tav» e già commissario del Pd ad Ostia. Cambiano solo tre caselle, insomma, ma tutte di peso: quello che ci voleva per dare un segnale di discontinuità.

Renzi pesce in barile
Ora, però, bisogna cominciare a fare sul serio. E ciascuno avrà la propria fetta di responsabilità. Il sindaco (e la sua nuova squadra) dovranno governare, stavolta possibilmente con incisività ed efficacia, a differenza di quanto visto nei primi due anni di consiliatura. Noi cittadini dovremo essere protagonisti della rinascita della nostra città, con amore, senso civico e anche sostenendo i lodevoli tentativi di Marino di asportare, da buon chirurgo, il cancro della corruzione dal corpaccione della capitale. Ma soprattutto i partiti saranno chiamati a fare la loro parte: ovvero, quella di appoggiare il primo cittadino, al limite di spronarlo a lavorare, ma non certo di mettergli i bastoni fra le ruote come invece hanno fatto finora. Pd in testa. Il convitato di pietra al tavolo del rimpasto, infatti, si chiamava Matteo Renzi. Che fin dall'inizio si è totalmente e platealmente disinteressato della questione romana, un tema che lo chiama invece in causa in prima persona, come premier ma ancor più come segretario del Partito democratico. Quello stesso partito che (al contrario del suo sindaco) si è scoperto profondamente colluso con Mafia capitale. Invece, il bulletto di Firenze ne è rimasto fuori, smollando la grana del partito romano al povero commissario Matteo Orfini, finito ad occuparsi di un gioco evidentemente più grande di lui.

La lettera al Messaggero
Non ha voluto nemmeno intervenire in comizio alla Festa dell'Unità, dove ieri si è limitato ad un veloce blitz con lo stesso Orfini, stavolta nel ruolo di compagno di partite a biliardino (in cui forse si trova più a suo agio). Le uniche parole le ha affidate ad una lettera al Messaggero: «Non ci interessa puntellare una Giunta, fare un rimpasto, scambiare poltrone – scrive – ci sta a cuore Roma, la sua bellezza, il suo futuro che può essere affascinante e ricco di stimoli. Ma che al momento sembra così lontano, stropicciato da polemiche senza fine. Ignazio Marino sa che il Partito Democratico sta facendo tutti gli sforzi per dargli una mano. E sa che il Governo è pronto a continuare a collaborare con dedizione e tenacia. Adesso tocca a lui, alla sua squadra cui il Pd non farà mancare la forza delle proprie donne e dei propri uomini».

Ma cambiare sindaco gli interessa di più
Belle parole: del resto si sa che, quando si tratta di parlare e parlare e parlare, Renzi vanta pochi rivali. Peccato che tutto questo aiuto del Pd al suo sindaco non si sia visto proprio: finora la frase preferita dal segretario era stata «Se Marino ce la fa, governi, altrimenti ne tragga le conseguenze». Una sorta di metodo Letta in salsa all'amatriciana. Un #Marinostaisereno. L'impressione è che anche gli obiettivi dell'azione di Renzi fossero gli stessi: logorare il malcapitato fino a portarlo alle dimissioni, per poi sostituirlo con uno dei suoi fedelissimi. Sempre perché «scambiare poltrone» a lui non interessa, notoriamente. Stavolta non ce l'ha fatta, però, perché al posto di frate Letta ha trovato un interlocutore con le palle, che non si è fatto mettere i piedi in testa. È riuscito, insomma, a delegittimarlo ma non a sostituirlo: bell'affare. Ora lo aspettiamo al varco: dimostri che i suoi propositi di collaborazione per Roma non sono solo l'ennesima promessa non mantenuta della sua lista ormai chilometrica. Perché un sindaco non può governare da solo, nemmeno il più bravo (quindi figuriamoci Marino). Se non lo farà, a pagarne le conseguenze, più che il primo cittadino, sarà proprio il suo Pd, alle prossime elezioni.