29 marzo 2024
Aggiornato 08:30
Conti pubblici

Rocco Polese: La lottizzazione targata Pd non risparmia l’Authority per il Bilancio

Forza Italia accusa Grasso e Boldrini di avere trasformato un organo di controllo indipendente, come richiesto dai trattati europei, in una lunga mano del Governo.

A stabilire che l’Italia dovesse dotarsi di una Authority parlamentare per il controllo e la vigilanza dei conti pubblici era previsto dai trattati europei e quindi bisognava farlo. Ciò non toglie che le forze politiche italiane se la siano presa comoda. Ci sono voluti parecchi mesi e numerose convocazioni delle Commissioni Bilancio di Camera e Senato per arrivare, dopo infinite discussioni e veti incrociati, ad una lista di dieci nomi da mettere a disposizione dei presidenti dei due rami del Parlamento ai quali spetta i compito di nominare i tre componenti (un presidente e due consiglieri) dell’Ufficio di bilancio delle Camere.

La scelta dei dieci candidati, a parte la dispute fra i partiti, non è stata facile: basta pensare che Mario Canzio, ex  Ragioniere generale dello Stato era stato escluso per avere autocertificato di non sapere bene l’inglese. Quindi c’erano tutte le premesse che la nascente Authority potesse prendere il via con i requisiti di collegialità che mesi di trattative avevano auspicato.

Purtroppo non è andata così, perlomeno ad ascoltare le proteste dei capogruppo di Camera e Senato di Forza Italia, Romani e Brunetta, che in una lettera di protesta accusano Grasso e Boldrini di avere fatto una scelta «improvvida, in un logica di spartizione» circoscritta al Partito Democratico. Per di più, aggiungono i due esponenti di Fi, portata a compimento a cavallo del 1° maggio,  cioè in un momento di ridotta attenzione delle forze politiche.

I prescelti a guidare la nuova Authority sono il neo presidente Giuseppe Pisauro, affiancato dai due consiglieri Alberto Zanardi e Chiara Goretti. I tre facevano parte della lista di dieci candidati sottoposta ai presidenti di Camera e Senato, ma, secondo Renato Brunetta, la loro nomina detta sconcerto poiché fanno parte della stessa area politica, cioè il Pd, «essendo rispettivamente espressione del duo Visco- Bersani, dell’area lettiana e di quella renziana».

«Purtroppo le decisioni dei due Presidenti della Camera e del Senato, per la composizione dell’Ufficio parlamentare del bilancio hanno deluso. Il nuovo organismo, voluto dai Trattati internazionali e da una recente legge che dava attuazione all’articolo 81 della Costituzione, doveva essere elemento di garanzia. Caratterizzato cioè da autonomia di giudizio e da indipendenza, nel valutare i grandi andamenti della finanza pubblica. Un po’ come le agenzia di rating internazionali che, per essere credibili, devono dimostrare di essere al di fuori di ogni contesa finanziaria. Soprattutto di non dipendere, nelle loro valutazioni, da interessi costituiti. O meglio pre-costituiti. Capaci cioè di influenzare con il loro giudizio gli andamenti del mercato per fini di parte», spiega Rocco Palese, capogruppo di Forza Italia in commissione bilancio della Camera dei deputati.

«Non è stata quindi una bella pagina di vita democratica. Le cui conseguenze dureranno nel tempo. E’ infatti evidenti che un organismo che non garantisce la necessaria autonomia ed indipendenza non può assolvere ai suoi compiti fondamentali. E’ un organismo nato morto. Un monumento alla stupida furbizia che avrà, purtroppo, un effetto controproducente anche a livello internazionale, vista l’attenzione con cui i vari organismi internazionali – dal FMI, alla Commissione europea, alla BCE – hanno seguito una vicenda che è figlia di trattati internazionali sottoscritti da tutti i paesi membri», aggiunge Rocco Palese.

«Contro questo colpo di mano si è levata la voce delle opposizioni. Quella scelta nega in radice, infatti, i principi di carattere costituzionale che regolano il funzionamento del Parlamento. E di cui i due Presidenti dovrebbero essere i supremi garanti» rincara la dose l’esponente di Forza Italia, ricordando che «la definitiva fumata bianca ha preso corpo il mercoledì mattina del 30 aprile, subito prima il lungo ponte del 1 maggio, che avrebbe reso impossibili ulteriori convocazioni delle due commissioni. La sera dello stesso giorno, con il Parlamento ormai in vacanza e la stampa pronta a godersi il meritato riposo, la decisione dei due Presidenti di Camera e Senato. Decisione assunta, senza alcuna consultazione, con la nomina dei membri dell’Ufficio parlamentare scelti secondo una logica che contraddiceva violentemente l’ordine con cui gli stessi erano stati votati. Risultato? Tre esponenti riconducibili all’area del PD. Una scelta improvvida che trasformava un’Authority, che la legge ed i Trattati internazionali, volevano assolutamente autonoma ed indipendente in una dependance di Via del Nazareno».

Secondo il capogruppo di Forza Italia in commissione Bilancio della Camera, Grasso e Boldrini sono inoltre venuti meno a quei principi di rigore e neutralità che mesi di lavoro in Commissione erano riusciti, seppure a fatica,  a sancire.    

«Per giungere ad una rosa di candidati- ricorda Rocco Palese- la legge prevedeva un vero e proprio percorso di guerra. Al bando pubblico iniziale avevano risposto più di cento specialisti, il cui curriculum dove essere quasi da premio Nobel. Per fare un solo esempio Mario Canzio, che per lunghi anni era stato il ragioniere generale dello Stato, era stato escluso per la sua scarsa conoscenza della lingua inglese. Alla fine del primo screening erano rimasti circa 60 candidati. Tra questi le due Commissioni bilancio di Camera e Senato, con un voto maggioritario dei due terzi, dovevano procedere ad una prima lista – la cosiddetta short list – di dieci possibili papabili. Ulteriore complicazione della procedura era quella di avere due distinti collegi elettorali, che non votavano congiuntamente. Nemmeno fosse stato il Conclave convocato per eleggere Sua Santità. Si era verificato pertanto più volte che alcuni candidati raggiungevano il quorum previsto in una commissione, ma lo mancavano per un soffio nell’altra. Queste difficoltà spiegano perché ci sono voluti giorni e giorni e numerose votazioni per giungere alla composizione della sospirata short list».

Tutto uno sforzo inutile, denunciano Romani e Brunetta, poiché «i presidenti di Camera e Senato hanno fatto una scelta che configura la più brutale lottizzazione partitica e trasformato una authority in un organismo governativo».