Il «made in Italy» politico batte Renzi uno a zero
Sui tempi prima sconfitta del premier incaricato. Lui insiste sulla velocità: «da febbraio ad aprile cambio l’Italia» Ma dopo Eataly, anche Luxottica gli dice no
Chi ama il calcio sa quanto sia importante per vincere le partire il fattore campo. Chi segue un po’ la politica sa quanto sia importante il fattore tempo.
Nella Prima Repubblica i partiti al potere, per non mollare la poltrona, allungarono il brodo delle promesse fino all’inverosimile. Sull’altro versante i comunisti rinviarono a data da destinarsi l ’ascesa delle masse nelle stanze dei bottoni.
Nella Seconda Repubblica un Berlusconi trionfante su Occhetto se ne uscì dicendo che a un imprenditore come lui sarebbe bastata mezz’ora per fare la lista dei ministri. Gli ci vollero, invece, alcune settimane e parecchie sudate. Inoltre i suoi fan stanno ancora aspettando quella rivoluzione liberale che il Cavaliere non ha però omesso di rieditare al battesimo della nuova Forza Italia. «Mi accusate di non aver realizzato nei tempi previsti quello che vi avevo promesso? La colpa è vostra che non mi avete messo a disposizione il 51 per cento dei voti, ma c’è sempre tempo per rimediare», la giustificazione di Berlusconi per i ritardi sul programma.
Grillo è accusato dai suoi detrattori di avere messo in frigorifero gli otto milioni di voti ottenuti alle politiche? Anche il leader del Movimento 5 Stelle rinvia il tempo della palingenesi alla conquista del 51 per cento. Quindi anche per lui si tratta solo di spostare i tempi del passaggio dai sogni alla realtà.
Ora è la volta di Matteo Renzi. Da quando è apparso alla ribalta è stato sempre considerato come una specie di scavezzacollo dai tempi rapidissimi: e infatti nel giro di sei mesi è riuscito a farsi nominare segretario del partito democratico, a scalzare Enrico Letta da palazzo Chigi e fra poche settimane gli spetterà di salire al vertice dell’ Unione europea, poiché sta per partire il semestre italiano.
Eppure anche Matteo Renzi, uscito dalla stanza di Napolitano con l’investitura, è stato costretto a farfugliare davanti ai giornalisti un mucchio di parole che nella sostanza non sono state altro che l’ammissione di essere stato costretto a mettere un bel freno alla sua fretta di dimostrare quanto vale.
Va riconosciuto a Renzi di non avere mandato giù il rospo senza condizioni: » A febbraio – ha detto dalla tribuna del Colle- voglio fare la riforma elettorale, a marzo rilanciare il lavoro, ad aprile riformare la pubblica amministrazione, a maggio rivedere la politica fiscale».
E’ come se avesse minacciato: mi fermate adesso, ma poi dovrete mettervi a correre come matti.
E se non lo faranno? Per ora ha accettato con riserva il mandato: cioè prima vuole sentire se quelli del freno sono disposti ad accettare la sua tabella di marcia. E se i freni venissero dopo, come spesso avviene? Beh c’è sempre giugno, mese nel quale il premier incaricato non ha previsto impegni.
Il primo scoglio che Renzi deve affrontare si chiama elenco dei ministri. Lasciamo stare il «toto-nomi» e concentriamoci su un fatto: alcuni personaggi eccellenti, di quelli che avrebbero fatto esclamare all’Italia «finalmente qualcuno che ci capisce», gli hanno già detto di no. Fra questi due imprenditori di successo come Oscar Farinetti, oscar del made in Italy alimentare e Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica, l’azienda leader nel mondo nella produzione e commercializzazione degli occhiali.
Ci immaginiamo la delusione di Renzi per questi due no, ma possiamo dare torto a questi due campioni del made in Italy?
Ecco un paio di cosette sulle quali avrebbero dovuto confrontarsi appena avessero accettato l’incarico di ministri.
Al primo posto avrebbero dovuto prepararsi a subire gli effetti negativi sull’alleato Angelino Alfano dello scambio, andata e ritorno, degli «inutili idioti» che sono volati nelle ultime ore fra Forza Italia e Nuova destra.
Poi avrebbero dovuto entrare in tensione in attesa di sapere che fine faranno i dieci senatori di Pippo Civati che minacciano la scissione. Quindi avrebbero dovuto iniziare a pregare per propiziare l’arrivo dei voti dei dissidenti di Grillo, nella speranza, poi di convincere anche qualche dissidente di Vendola.
Infine avrebbero dovuto appiccicarsi al televisore per assistere all’exploit di Grillo e Casaleggio seduti comodamente in platea al teatro Ariston di San Remo.
Una volta uno stravagante che si faceva chiamare «cavallo pazzo» minacciò di lanciarsi dalla balconata di quel teatro pur di richiamare l’attenzione su di se. Ora per fare casino basta comprarsi un biglietto di poltronissima.
E’ la rivoluzione che ci regala, l’altro «made in Italy», il «made in Italy» politico. Proprio una bella rivoluzione. Ora si che stiamo meglio.
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