29 marzo 2024
Aggiornato 11:30
Politica estera

Letta, venditore itinerante di «Made in Italy»

Il presidente del Consiglio riscopre il ruolo di rappresentante degli interessi del Paese nel mondo e tenta prove tecniche di rilancio di una politica estera degna di questo nome

Enrico Letta non è rimasto molto a crogiolarsi fra i dubbi di un Moretti d’epoca che si chiedeva: «mi si noterà più se non vado e se vado e resto in disparte?». E’ molto probabile che il presidente del Consiglio fosse convinto della opportunità di non mancare all’appuntamento dei giochi russi di Sochi fin dal primo momento del suo ingresso a Palazzo Chigi. E infatti non ha vacillato nemmeno davanti a defezioni pesanti come quelle annunciate da Obama, Merkel, Hollande e Cameron. Anzi non è escluso sotto sotto abbia anche coltivato la speranza di trarre qualche vantaggio dall’essere l’unico grande europeo che sarà presente alla consacrazione invernale della corte di Putin.

Il gran da farsi all’estero del Premier nelle ultime settimane non è infatti casuale e rientra in una strategia i cui obiettivi vanno ricercati nelle origini culturali, familiari e politiche di Letta.

Non bisogna dimenticare che il presidente del Consiglio proviene dalla scuola dell’Arel, un pensatoio economico che raccoglieva l’area progressista e internazionalista della ex Dc. Che è stato allievo di Beniamino Andreatta, al quale anche gli avversari attribuivano uno spessore da economista di taglio europeo. Ed è nipote di Gianni Letta, a sua volta emanazione del potere di quel Giulio Andreotti che per tutta la vita ha guardato con un occhio agli Stati Uniti e con l’altro alla sponda araba del Mediterraneo.

Da tutta la Dc, Enrico Letta, ha infine raccolto l’eredità di una grande avversione politica, ma di una grande apertura economica nei confronti della Russia, anche quando si chiamava Unione Sovietica. Basta andare con la memoria ai contatti «non ortodossi» del presidente Gronchi, alla realizzazione di Togliattigrad da parte della Fiat e alle forniture in Italia di gas russo in piena guerra fredda.

Che questa ricostruzione non sia campata in aria è dimostrato dal procedere all’estero di Letta, Prima con la riaffermazione dell’amicizia con gli Stati Uniti senza se e senza ma. Poi con l’imprimere un ritmo sempre più accelerato nei rapporti con gli emirati. E infine con il sostegno a  Putin, nel momento in cui lo zar di Mosca ha bisogno del maggiore conforto per reprimere l’ansia che gli procura l’esito di un evento dal quale potrebbe uscire con la corona d’oro che spetta a chi è riuscito a rimettere in piedi un colosso ammaccato, o con la corona di spine che viene inflitta a chi procura alla propria squadra una sconfitta causata dalla propria velleità e dalla propria arroganza.

Tutto questo attivismo non ha lasciato Enrico Letta con le mani vuote.

Dagli arabi è riuscito a spuntare un aiuto concreto che forse ci costerà qualche moschea sgradita ai leghisti, ma anche alleanze dense di opportunità. A partire dall’accordo su Alitalia della compagnia di bandiera di Abu Dhabi che, se andasse in porto come sembra, potrebbe unire l’Italia, con una sorta di cordone ombelicale, ad una delle aree più ricche e aperte verso l’esterno del mondo arabo.

Dal Qatar, già presente in Italia con marchi come Valentino, il premier ha raccolto la promessa di un forte interessamento a quel processo di privatizzazioni che dovrebbe fare scendere la febbre del nostro debito e infine dal Kuwait un impegno già sottoscritto ad investire nel nostro Paese 500 milioni di dollari.

Ma anche Putin si è già fatto sentire: la Russia ha infatti annunciato che sugli aerei Areoflot per Sochi sarà servito Pinot grigio e Bardolino Villa Alberti della ditta «Cantina di Soave».

Ma il più grande successo diplomatico Enrico letta lo ha ottenuto nei giorni scorsi con il pronunciamento dell’Unione Europea a favore dei nostri marò in India, seguito da parole di significativo sostegno da parte dei tedeschi, il cui presidente Joachim Gauck oggi arriverà a New Delhi.

Con questi risultati il premier si è assicurato la promozione in politica estera. Ma ora lo aspettano gli esami in Italiano.