29 marzo 2024
Aggiornato 11:30
La rilevazione di Eurostat

Abbandono scolastico, Italia tra le peggiori d'Europa

Rispetto alla media dei 28 Paesi dell'Ue, scesa al 12,7%, e all'obiettivo del raggiungimento del 10% entro il 2020, ci sono ancora cinque Paesi ancora molto lontani dalla meta. Tra questi figura l'Italia, oggi al 17,6%, che per numero di 18-24enni che hanno lasciato gli studi prima del tempo è riuscita a fare peggio anche della Romania

ROMA - Secondo la Commissione europea, nel 2012 in Italia il tasso di abbandono scolastico ha continuato a rimanere alto: rispetto alla media dei 28 Paesi dell'Ue, scesa al 12,7%, e all'obiettivo del raggiungimento del 10% entro il 2020, ci sono ancora cinque Paesi ancora molto lontani dalla meta. Tra questi figura l'Italia, oggi al 17,6%, che per numero di 18-24enni che hanno lasciato gli studi prima del tempo è riuscita a fare peggio anche della Romania, che è al 17,4%.

Non può consolarci sapere, sempre dalla Commissione europea, che in Spagna lasciano la scuola prima del tempo, acquisendo al massimo il titolo di licenza media, il 24,9% dei ragazzi. E che anche Malta (22,6%) e il Portogallo (20,8%) sono degli esempi da evitare. Mentre sono sicuramente da prendere in considerazione quei 12 Paesi dell'Unione che hanno già raggiunto e superato l'obiettivo del 10% di dispersione. E pure Germania, Francia e Regno Unito, quasi prossimi al raggiungimento della soglia.

Ma come rilevato di recente da Eurostat, anziché pensare agli altri è giunto il momento di tornare ad investire: la situazione risulta particolarmente critica in Sicilia, Sardegna e Campania, dove vi sono aree con punte di abbandoni scolastici del 25%. E il periodo più a rischio abbandono rimane quello dei 15 anni, quando i ragazzi frequentano il biennio delle superiori.

«L'allontanamento dall'Europa in merito alla dispersione scolastica - ha sottolineato riassumendo i dati Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - non è un dato casuale. Ma è legato a doppio filo ai tagli a risorse e organici della scuola attuati negli ultimi anni. In particolare negli ultimi sei, quando sono stati cancellati complessivamente 200mila posti, sottratti 8 miliardi di euro e dissolti 4mila istituti a seguito del cosiddetto dimensionamento (poi ritenuto illegittimo dalla Consulta). Ora, siccome è scientificamente provato che i finanziamenti sono correlati al successo formativo, questi dati non sorprendono: più si taglia e più la dispersione aumenta».

«È andata in questo modo - ha proseguito il presidente Anuief - a seguito dell'attuazione delle riforme Gelmini sulla scuola. Che hanno ridotto di un sesto l'orario scolastico, tanto è vero che oggi l'Italia detiene il 'primato' di far svolgere ai suoi alunni della primaria 4.455 ore studio, rispetto alle 4.717 dell'Ocse. E 2.970 in quella superiore di primo grado rispetto alle 3.034 sempre dell'Ocse. Un'operazione che ha spazzato via, come ragionieristicamente calcolato dal Mef, diverse decine di migliaia di docenti».

Ma il calo di interesse si è manifestato anche all'Università cui ormai si iscrive appena il 30% dei neo diplomati. Anche in questo caso, stavolta a seguito della Legge 240/2010, abbiamo assistito alla progressiva riduzione del personale docente e dei corsi di laurea. E alla perdita del ricercatore. Con il risultato che il numero di giovani che oggi raggiunge la laurea rimane tra i più bassi dell'area Ue.

Come se non bastasse, in Italia la spesa in Istruzione è sempre più misera: tanto che (dati Ocse) il nostro Paese si piazza per investimenti nella scuola al 31° posto tra i 32 considerati. Solo il Giappone fa peggio di noi. Per non parlare degli stipendi degli insegnanti, tra i più bassi: con 32.658 dollari l'anno nel 2010 nella scuola primaria (contro i 37.600 della media Ocse), 35.600 dollari nella scuola media (39.400 Ocse) e 36.600 nella secondaria superiore contro 41.182 dell'area Ocse.

«Il problema - continua Pacifico - è che invece di investire nella formazione, in professionalità, in tempo scuola, in competenze, ad iniziare da quelle nell'Ict, senza dimenticare l'apprendistato, in Italia si continua a considerare l'istruzione un comparto da cui sottrarre risorse. Invece è un settore chiave e deve necessariamente risalire la china. Assieme - conclude il sindacalista Anief-Confedir - ad artigianato, turismo e nuove tecnologie».