29 aprile 2024
Aggiornato 03:30
Governo Letta

Letta: due volte in USA, due volte a rischio

La legge di stabilità del premier bocciata da partiti, sindacati, Confindustria e Napolitano

Il presidente del Consiglio Italiano, bisogna ammetterlo, è un campione di pazienza.

Va a parlare a New York alla comunità finanziaria internazionale per dire che l’Italia finalmente è tornato un paese normale, del quale ci si può fidare per fare gli investimenti, ma non ha ancora finito di suonare la caratteristica campana di inizio seduta a Wall Street che da Roma arriva la notizia che si sono dimessi tutti i ministri di una delle due componenti maggiori del suo governo, il Pdl, e inoltre tutti i parlamentari di Berlusconi minacciano le dimissioni in massa.

Chiunque avrebbe perso le staffe, cominciato ad inveire per la figuraccia fatta davanti agli squali della Borsa. Invece il Letta nipote se ne è tornato a Palazzo Chigi per ricominciare a tessere la tela, come una Penelope incurante dei Proci che costantemente fanno di tutto per disfargliela.

Risultato? Ha avuto ragione, perché poi è arrivata la fiducia al suo governo, con relativo smacco per Berlusconi.

Tutto finito, tutto sistemato? A dir la verità l’unica volta che Enrico Letta si è concesso un gesto impulsivo è stato proprio all’indomani della fiducia, quando si è lasciato sfuggire l’infausta affermazione: «E’ finito il ventennio di Berlusconi». Una frase che i fatti delle ore successive hanno relegato subito in soffitta, a fare compagnia alle altrettanto famose; «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto, e alla recentissima:  «smacchieremo il giaguaro» di Bersani.

A differenza dei due falsi profeti che l’hanno preceduto, Letta il giovane non si è fatto prendere dalla depressione (Occhetto cambiò addirittura partito) o dalla smania di rivincita di Bersani che D’Alema gli sta rimproverando proprio in questi giorni: «Il tuo guaio è che hai voluto a tutti i costi cercare di rifarti, come i giocatori che finiscono per perdere anche la camicia», continua a ripetere a Bersani l’ex sponsor:

Letta no, ha incassato l’ennesima resurrezione di Berlusconi (perlomeno così dicono i sondaggi, al netto della mannaia giudiziaria) con la pacatezza che mamma Dc un tempo insegnava alla  numerosa prole e ha ripreso a pedalare come niente fosse.

Poteva bastare questo per vedersi conferire il premio «Giobbe» per la pazienza? Come sapete c è ben altro. L’allievo di Beniamino Andreatta ha infatti ripreso l’aereo una seconda volta per varcare  l’oceano: questa volta destinazione Casa Bianca.

Il nostro Presidente del Consiglio viene ricevuto con gli onori che gli spettano da Barack Obama,  che però ha appena finito un corpo a corpo con i repubblicani e, mezzo tramortito, dice ad Enrico Letta praticamente le stesse parole che solo pochi mesi fa pronunciò nell’incontro con Mario Monti.

La leggenda vuole che proprio mentre Barak Obama, fra un flash e l’altro, sta chiedendo al suo nuovo interlocutore italiano che fine abbia atto l’educato professore che l’ha preceduto, fuori campo un uomo del seguito abbia alzato un cartello con scritto: «Monti si è dimesso, maggioranza a rischio». Che doveva fare Letta? Strapparsi le vesti davanti al presidente degli Stati Uniti? Imprecare perché sembra una comica che tutte le volte che varca l’oceano qualcuno provi a levargli la sedia da sotto il sedere? Niente di tutto questo. Letta l’ imperturbabile ha continuato a finire la frase che stava  pronunciando prima che gli notificassero lo scherzetto di Monti: » Caro presidente - stava dicendo in un buon inglese ad Obama - a differenza del passato l’Italia oggi ha raggiunto un traguardo prezioso, questo traguardo si chiama stabilità».

Dicono , ma dalla Casa Bianca non è giunta alcuna conferma, che Obama la sera questa scenetta del «made in Italy» l’abbia raccontata a Michelle, ma tutte e due erano troppo stanchi per commentarla. Forse Michelle ha accennato ad una risatina. Poi hanno spento la luce.