23 maggio 2025
Aggiornato 03:30
Un'altra settimana per l'intesa

Legge elettorale, tramonta il «Lodo Calderoli». Si rinvia ancora

La riforma elettorale non andrà in Aula al Senato oggi, come previsto, ma mercoledì prossimo, 5 dicembre: impossibile trovare un'intesa nella settimana in cui il Pd ha la testa al ballottaggio delle primarie tra Matteo Renzi e Pierluigi Bersani che si svolgerà domenica e il Pdl è nel caos

ROMA - Ancora un rinvio, di una settimana. La riforma elettorale non andrà in Aula al Senato oggi, come previsto, ma mercoledì prossimo, 5 dicembre: impossibile trovare un'intesa nella settimana in cui il Pd ha la testa al ballottaggio delle primarie tra Matteo Renzi e Pierluigi Bersani che si svolgerà domenica e il Pdl è nel caos, appeso al possibile annuncio di una nuova Forza Italia da parte di Silvio Berlusconi. «L'intesa è vicina», assicurano congiuntamente Maurizio Gasparri e Anna Finocchiaro al termine della conferenza dei capigruppo che ha deciso lo slittamento, ma finora non ce n'è traccia.

«Se il rinvio è breve e costruttivo - spiega il presidente del Senato, Renato Schifani - non sarò certo io a impedirlo. Io lavoro per la stesura di un testo ampiamente condiviso su cui le forze politiche riflettano. Mi risulta che si sta lavorando in questo senso, rimango fiducioso in una logica attenta, ma al tempo stesso costruttiva e propositiva». I democratici danno per fallito l'ennesimo tentativo del senatore della Lega Roberto Calderoli che oggi ha riformulato «per la diciassettesima volta» la sua proposta di premio a scaglioni. Lui stesso, interpellato in mattinata a Palazzo Madama, non sembrava molto fiducioso: «Finché non si saprà chi ha vinto tra Renzi e Bersani non ci sarà alcuna riforma elettorale. La mia proposta è al vaglio dei partiti ma nessuno si fa sentire e l'esperienza mi dice che quando c'è il silenzio vuol dire che non piace la proposta. Io lo chiamo silenzio-dissenso».

Tolti di mezzo i lodi Calderoli, si sarebbe tornati a ragionare sulla base della proposta del politologo Roberto D'Alimonte che mette una soglia al 40% per accedere al premio di maggioranza e, se nessuna coalizione la raggiunge, un premio di consolazione al primo partito del 10%, cioè una sessantina di deputati. Percentuale quest'ultima destinata a scendere, visto che il Pdl fino a qualche settimana fa non era disposto a concedere più del 5%: una via di mezzo di cui si è parlato - la ipotizzava lo stesso D'Alimonte venerdì scorso - potrebbe stare tra i 40 e i 50 deputati ma è tutto da vedere.

Domani, approfittando della pausa dell'Aula del Senato che, orfana della delega fiscale e della legge elettorale e di tutti i decreti che non sono ancora usciti dalle Commissioni, si è aggiornata a dopodomani, ci saranno incontri tra i capigruppo per lavorare a un'intesa. Ma l'impresa non è meno complicata dei giorni scorsi. Anzi. Il Pdl è diviso, oggi al Senato se ne è avuta la plastica dimostrazione nel voto sulle pregiudiziali presentate dalla Lega alla delega fiscale: una parte dei pidiellini ha votato a favore provocando una reazione a catena. Lucio Malan ha chiesto di non passare all'esame degli articoli e il provvedimento è stato rispedito in Commissione, cosa che per Mario Baldassarri, presidente della commissione Finanze, vuol dire un rinvio a «babbo morto». Il sottosegretario all'Economia Vieri Ceriani commenta: «Purtroppo non si sa più chi rappresenta il Pdl». Un'affermazione che secondo molti vale anche per la partita della riforma elettorale.