18 aprile 2024
Aggiornato 23:30
Il PD e il tema delle ricandidature

Veltroni spariglia. D'Alema invoca il partito. Bersani tace

La questione ricandidature era già delicata, la campagna di «rottamazione» di Matteo Renzi stava già creando più di un problema ai vertici del Pd e la mossa di Walter Veltroni ha ulteriormente complicato tutto. Oggi Massimo D'Alema abbia voluto mandare un segnale chiaro: «La mia disposizione è a non candidarmi. Quindi, semmai, potrò candidarmi se il partito mi chiede di farlo»

ROMA - La questione ricandidature era già delicata, la campagna di 'rottamazione' di Matteo Renzi stava già creando più di un problema ai vertici del Pd e la mossa di Walter Veltroni ha ulteriormente complicato tutto. Intanto perché l'ex segretario ha scelto di dare il suo annuncio proprio nel giorno della partenza della campagna per le primarie di Pier Luigi Bersani, togliendo parecchio spazio al segretario e la cosa ha dato parecchio fastidio nel giro bersaniano. Ma, soprattutto, perché adesso il tema ricandidature diventa ancora più delicato, non c'è solo il sindaco di Firenze ad incalzare, e non è un caso che proprio oggi Massimo D'Alema abbia voluto mandare un segnale chiaro: «La mia disposizione è a non candidarmi. Quindi, semmai, potrò candidarmi se il partito mi chiede di farlo». Il problema è che Bersani pare intenzionato a lasciare, come prevede lo statuto, che sia la direzione del partito ad occuparsi della vicenda, evitando di prendere posizione nella diatriba e limitandosi a ribadire i 'principi generali', come fa quando dice che non ci possono essere «foglie nuove senza radici».

D'ALEMA: RENZI INTOLLERABILE - Il fatto è che, raccontano, D'Alema nelle ultime settimane si era già sfogato con più di un dirigente democratico: la campagna di Renzi è intollerabile, avrebbe detto, mi aspetterei di sentire una parola dal vertice del partito su questo. Secondo alcune versioni maliziose, persino le frasi pronunciate oggi da D'Alema volevano sottolineare proprio il silenzio del partito di fronte agli attacchi di Renzi. A chi gli ha chiesto se fosse d'accordo con Rosy Bindi che, secondo quanto riportato da Repubblica avrebbe detto che il partito deve difendere i suoi dirigenti, D'Alema ha replicato: «Assolutamente non sono d'accordo. Come vedete io sono stato difeso dagli attacchi di Renzi da rettori di molte delle principali università, non dal partito. Non è il partito, sono gli elettori che ci difendono».

BERSANI NON VUOLE FARSI TRASCINARE NELLA POLEMICA - Bersani, racconta più di un dirigente, vuole promuovere un deciso rinnovamento, senza però falcidiare l'intero gruppo dirigente. Soprattutto, il segretario sembra poco intenzionato a farsi trascinare nella polemica. Qualcuno fa notare che l'appello 'pro-D'Alema' apparso oggi sull'Unità è anche un modo per ricordare al segretario che dirigenti come l'ex ministro degli esteri sono in grado di spostare ancora molti voti sul territorio. Un argomento 'forte' in vista di primarie come quelle che si terranno a fine novembre.
Tagliare drasticamente «le radici», come le chiama Bersani, non solo sarebbe controproducente perché si perderebbe un bagaglio di esperienza importante, ma rischierebbe anche di privare il segretario di truppe importanti in vista della conta con Renzi. D'altro canto, chiedere in prima persona la ricandidatura dei 'big' offrirebbe un argomento fortissimo al sindaco di Firenze Bersani 'il vecchio' che vuole perpetuare gli stessi di sempre. Ragionamenti fatti da qualche dirigente Pd, questi, che devono avere qualche fondamento se dallo staff del segretario filtra appunto l'orientamento a lasciare che sia «il partito» a decidere. Bersani, spiegano parafrasando il segretario, «non è un 'uomo solo al comando'». Ma questo principio non è stato seguito quando si è trattato di decidere di fare le primarie mentre tutti i 'big' chiedevano di lasciare stare; e nemmeno quando si è deciso di permettere l'iscrizione all'albo degli elettori anche il giorno del voto, mentre molti suggerivano di chiudere i giochi una settimana prima.

LA QUESTIONE DELLE DEROGHE - In questo caso, Bersani sembra intenzionato ad appellarsi allo statuto che recita: «Eventuali deroghe (al limite dei tre mandati, ndr) devono essere deliberate dalla direzione nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, su proposta motivata dell'Assemblea del livello territoriale corrispondente all'organo istituzionale per il quale la deroga viene richiesta». E le deroghe, comunque, non potranno essere più del «10%» delle candidature complessive. D'altro canto, il segretario ripete ai suoi che «ci saranno meccanismi di partecipazione» per scegliere i candidati al Parlamento: laddove le assemblee regionali Pd hanno scelto le primarie si faranno le primarie (come hanno già deciso in Emilia Romagna, per esempio), altrove si studieranno altri meccanismi per far pronunciare 'la base'.
Ora, sicuramente quando D'Alema ipotizza che sia il partito a chiedergli di candidarsi certo non immagina di dover essere lui ha fare richiesta della deroga. E' probabile che il regolamento delle candidature venga stavolta scritto in modo tale che non debba essere il diretto interessato a fare la richiesta. Ma D'Alema stasera ha aggiunto: «L'idea che ci sia un gruppo di oligarchi che si deve togliere di mezzo è un'evidente distorsione e denota l'abilità dei nostri competitori a mettere al centro l'eliminazione della classe dirigente del Pd. Avevo detto a Bersani che - ha concluso - non volevo candidarmi, ma ora difendo la dignità di una storia». Forse l'ex premier si aspetta qualcosa di più di una deroga al limite dei tre mandati.