«Gli indagati si dimettano». E' bufera sulle parole di Fini
L'attacco a Cosentino: «S'è dimesso dal governo ma è ancora coordinatore regionale del Pdl». Gelo con il Premier. Per Berlusconi chi non si allinea è fuori
ROMA - Gianfranco Fini non arretra sul tema della legalità e chiede che chi, nel Pdl, è indagato lasci ogni incarico di partito. Non li nomina, ma il messaggio è per Denis Verdini e Nicola Cosentino, entrambi coinvolti nell'inchiesta sulla cosiddetta P3 e le sue parole fanno assottigliare ancora di più la speranza di una ricomposizione con Silvio Berlusconi. Nessun commento ufficiale assicura Palazzo Chigi in una nota 'preventiva', che però non frena le indiscrezioni sulla reazione del premier: nessuno spazio per le mediazioni, questo il ragionamento con chi gli ha parlato, d'ora in poi il partito deciderà sempre a maggioranza e chi non si allinea è fuori.
Come sarà possibile espellere eventualmente i finiani dal partito nessuno lo spiega, ma a testimonianza che ormai la mediazione sia considerata praticamente impossibile ci sono anche le parole di colui che proprio in questi giorni ha provato l'ultimo tentativo: «Ho provato ad allargare uno spiraglio strettissimo, ma devo prendere atto che il mio tentativo non è stato raccolto e anzi temo sia stato letto nel senso opposto...», dice La Russa interpellato telefonicamente da Apcom. Dopo le dichiarazioni di Fini da Napoli e dopo i commenti degli uomini vicini al Presidente della Camera, «sono dispiaciuto: pare che ci sia la gara a stringerlo questo spiraglio», osserva il coordinatore del Pdl, che tiene a spiegare il senso della sua proposta: «Ho suggerito che Fini partecipasse alla gestione del partito, e se dovesse ritenerlo, d'accordo con Berlusconi, che entrasse anche al Governo. Cosa che avremmo dovuto fare fin dall'inizio della legislatura...». Insomma, «ho provato a ricreare un clima di condivisione, come strada alternativa a quella delle regole di convivenza, ma devo prendere atto che non c'è questa volontà. Se qualcuno degli attuali amici di Fini ha idee migliori me lo dica...».
BONDI - Le affermazioni del presidente della Camera a Napoli scatenano una nuova bufera sull'opportunità che Fini ricopra ancora un ruolo istituzionale: «Non ci sono precedenti in Italia di interventi così marcati e ripetuti nel dibattito politico da parte di chi ricopre il ruolo di presidente della Camera. A prescindere dai contenuti delle opinioni politiche espresse si finisce per venir meno in questo modo ai doveri che il proprio ruolo istituzionale impone e si sacrificano le istituzioni di garanzia», tuona Sandro Bondi.
CASO VERDINI - L'attacco della terza carica dello Stato arriva nel giorno in cui Verdini lascia il suo incarico di presidente del Credito Cooperativo: «Dimissioni irrevocabili», spiega, rassegnate per mettere al riparo la banca dalla «tempesta mediatica e giudiziaria» che si è abbattuta su di lui. Ma per Fini non basta. In collegamento con Napoli per la prima convention campana di Generazione Italia, l'associazione presieduta da Italo Bocchino, il presidente della Camera si chiede «se è opportuno che chi è indagato continui ad avere incarichi politici». Poi blinda il deputato del Pdl Fabio Granata, finiano di stretta osservanza, nel mirino della maggioranza del partito per le sue frasi sulle stragi mafiose dei primi anni '90. «Tutte le idee - afferma Fini - possono essere contrastate, ma combattere le idee con gli anatemi o peggio con le espulsioni ha ben poco a che vedere con un partito liberale».
CICCHITTO - Nonostante Fini ribadisca di non avere intenzione di lasciare il Pdl («E' la nostra casa, dobbiamo impegnarci dall'interno per renderla migliore», dice), il capigruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, è convinto che la terza carica dello Stato abbia «l'obiettivo di devastare e destabilizzare il partito oscurando anche tutto quello che di buono ha fatto e sta facendo il Governo». In questo clima domani si apre per la maggioranza una settimana di appuntamenti decisivi in Parlamento che suggerirebbero al Pdl tutt'altro spirito: a partire dal destino del Ddl intercettazioni che giovedì arriva in Aula a Montecitorio per la discussione generale ma l'iter del contestatissimo provvedimento, che i berlusconiani vorrebbero approvato prima della pausa estiva, si deciderà nella conferenza dei capigruppo convocata per le 13.30 dove, se non c'è accordo tra i gruppi, l'ultima parola spetta proprio al presidente della Camera.
BOCCHINO: «O PACE O GUERRA» - Lo stesso Italo Bocchino ha esortato dai microfoni de La7 i due cofondatori del partito ad un confronto chiarificatore: «O Berlusconi e Fini si chiudono in una stanza e trovano le ragioni di un nuovo patto fondativo o si va alla raottura. E se sarà rottura sarà traumatica». E per essere ancora più chiaro: «Se si scatena la guerra» contro la componente finiana ci sarà una reazione. «Dal partito non ci possono cacciare - ha sottolineato, non possono espellere Fini e noi non ce ne andremo. O pace o guerra: nessuna sperazione consensuale».
- 10/12/2016 Berlusconi sul libro di Friedman: «Non lo leggete, è un imbroglio»
- 29/09/2016 Silvio Berlusconi: tutto ciò che la sinistra voleva essere, e tutto ciò che la destra temeva di diventare
- 01/07/2016 La longa manus di Deutsche Bank sulla caduta del governo Berlusconi
- 28/10/2014 S&P e Fitch hanno complottato contro Berlusconi