26 aprile 2024
Aggiornato 06:30
Operazione «crash»

Pizzo e armi: in cella 11 ex «protettori» di Provenzano

Dopo l'arresto del boss a Bagheria proseguivano le attività illecite avendo a disposizione un vero e proprio arsenale

PALERMO - Era la rete che proteggeva la latitanza di Bernardo Provenzano fino al momento dell'arresto e che poi, «sopravvissuta» dopo la cattura del boss, ha continuato ad operare nel campo delle estorsioni avendo a disposizione un vero e proprio arsenale, quella sgominata nella notte con l'operazione «Crash». In cella, con l'accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata alle estorsioni, alla detenzione di armi da fuoco e all'intestazione fittizia di beni, su disposizione del Gip Piergiorgio Morosini, sono finiti in undici. Nell'ambito dell'inchiesta è stata sottoposta al sequestro preventivo una società di import-export di frutta e ortaggi, con più sedi su tutto il territorio siciliano, operante con l'Italia e l'estero, del valore approssimativo di 2 milioni e mezzo di euro, e riconducibile ad uno degli arrestati.

L'indagine di Polizia e Carabinieri ha permesso di ricostruire un importante circuito mafioso nel comprensorio dei comuni di Bagheria e Ficarazzi. L'inchiesta, coordinata dalla Dda di Palermo, partendo da personaggi di spessore è giunta all'individuazione di altre persone, alcune delle quali legate da vincoli di parentela, che avevano acquisito il controllo di numerose attività criminali. Grazie ad intercettazioni telefoniche ed ambientali la polizia e carabinieri di Palermo sono riusciti a ricostruire tutte le attività della cosca che avrebbe avuto come elemento di maggior spicco, Simone Castello, 60 anni, che dopo aver subito una condanna per mafia era espatriato in Spagna dove è stato arrestato.

Da quanto è emerso nell'inchiesta «Crash» l'organizzazione avrebbe anche imposto il «pizzo» ad un imprenditore che doveva realizzare delle tombe nel cimitero di Ficarazzi: i mafiosi gli avrebbero chiesto il 3% sull'importo dell'appalto di aggiudicazione dei lavori. Sempre grazie ad intercettazioni ambientali è stato poi scoperto che era stata la cosca di Bagheria a procurare a Bernardo Provenzano la macchina per scrivere utilizzata dal boss per redigere i «pizzini» e che fu trovata nell'aprile del 2007 nel covo di Montagna dei Cavalli.

L'indagine sulla cosca di Bagheria e Ficarazzi, che era pronta a mettersi a disposizione dei nuovi capi di Cosa nostra , comunque, non è ancora conclusa perché ascoltando alcune intercettazioni gli investigatori hanno avuto la certezza dell'esistenza di un arsenale, nascosto in più località, composto da mitragliatori, pistole e munizioni a disposizione degli indagati. Le armi non sono state ancora trovate e sono in corso ricerche.

Le persone finite in cella nell'ambito dell'operazione sono, oltre a Simone Castello, il nipote Luciano Castello, 35 anni, Dario e Giuseppe Comparetto, di 27 e 33 anni, Leonardo e Massimiliano Ficano, di 67 e 34, Emanuele Giovanni Leonforte, di 39 anni, Stefano Lo Verso, 48 anni, Cristofaro Morici,56 anni, Onofrio Morrreale, 44 anni e Francesco Pipia, di 52 anni.