18 agosto 2025
Aggiornato 07:00
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Gli startupper sono soddisfatti dei finanziamenti per le loro startup (dice il Mise)

Il MISE dice che oltre il 34% degli startupper italiani è soddisfatto delle modalità di finanziamento delle startup

Gli startupper sono soddisfatti dei finanziamenti per le loro startup (dice il Mise)
Gli startupper sono soddisfatti dei finanziamenti per le loro startup (dice il Mise) Foto: Shutterstock

ROMA - Secondo la recente rilevazione che il ministero dello Sviluppo Economico ha fatto sulla salute delle startup italiane, in collaborazione con l’Istat, il 34,1% degli startupper si dichiarerebbe «pienamente soddisfatto delle fonti di finanziamento a propria disposizione». Un dato che lascia piuttosto interdetti di fronte al costante dibattito mediatico circa la scarsa disponibilità di fondi per lo sviluppo delle imprese innovative, venture capital in prima linea, settore nel quale - quest’anno - abbiamo visto finanziamenti per poco più di 100 milioni di euro.

Un dato che fa venire qualche dubbio anche rispetto alle modalità con cui gli startupper decidono di finanziarsi, giacché - come rivelato in precedenti indagini - ben il 73% delle imprese ha fatto principalmente ricorso alle risorse proprie dei soci fondatori. Numeri che ci fanno ben comprendere come la situazione italiana sia rimasta stagnante, e forse sia addirittura peggiorata, rispetto a qualche anno fa, dove (fonte Gem) il 30% degli startupper si faceva finanziare da mamma e papà, i quali versavano (e ancora lo fanno) circa 50mila euro (corrispondenti al costo medio in Italia per avviare un’impresa).

Benchè le startup italiane siano molto più legate agli investimenti bancari che a quelli in equity (per ogni euro di equity ce ne sarebbero 1,6 di debito), per gli startupper il finanziamento ottimale di cui necessitano è un mix tra equity e debito.

Il report pone, in realtà, particolare accento sul finanziamento in equity affermando che «a fronte di un interesse generale dichiarato verso il finanziamento in equity, la maggior parte delle startup (68,4 per cento), dopo la fondazione, non abbia cercato nuovi finanziamenti da fondi di venture capital, business angel o tramite l’equity crowdfunding, quasi a suggerire che questa soluzione sia più auspicata che effettivamente perseguita». Ma del resto è davvero improbabile che gli imprenditori italiani ripongano la propria fiducia nel segmento del venture capital, al costante stato embrionale qui in Italia. Solo l’8,2 per cento delle startup innovative ha ricevuto in fase di costituzione finanziamenti in equity da società di venture capital, business angel o altre imprese.

Un trend che si manifesta soprattutto negli ultimi 12 mesi. A calare, nel 2017, sono proprio gli investimenti formali, attuati principalmente da fondi di venture capital e private equity. Si passa dai 101 milioni del 2016 agli 80 del 2017, con una diminuzione pari al 21%. Una diminuzione che - secondo Antonio Ghezzi, direttore dell’Osservatorio Startup Hi-Tech del Politecnico di Milano - non deve suscitare allarmismi. Negli ultimi 6 anni, del resto, l’andamento è stato altalenante. Le startup hi-tech, di fatto, continuano a soffrire di un cash shortage a monte, che dovrebbe essere sostenuto da opportuni strumenti ed operazioni ad esso interamente destinati e dedicati.

Stesso discorso per il mercato dell’equity crowdfunding, che nel 2017 ha segnato una crescita esponenziale piuttosto ampia, andando a rappresentare più del 10% del venture capital italiano. Secondo il report, infatti, solo un sesto delle startup analizzate raccoglierebbe finanziamenti tramite l’equity crowdfunding, per lo più imprese con valori della produzione contenuti e costituitesi dopo l’entrata in vigore del regolamento Consob in materia (2013). Il dato del MISE fa, tuttavia riferimento, a rilevazioni effettuate nel 2016, prima del considerevole boom verificatosi l’anno appena trascorso all’interno del settore. Forse sarebbe meglio dire che l’equity crowdfunding ha vinto sul venture capital, poco ma sicuro. E anche sui finanziamenti pubblici italiani che hanno sostenuto solo il 3% delle startup (quelli di origine nazionale) e il 7,7% di startup (se consideriamo quelli di origine regionale o locale).

La trincea netta e profonda che ci separa dagli altri Paesi si allarga a vista d’occhio. Nel Vecchio Continente (anche se di vecchi ci siamo praticamente solo noi, ndr.), siamo all’undicesimo posto sia per numero di scaleup (135) che per capitale raccolto (quasi 1 miliardo di dollari), equivalente allo 0,05% del Pil, ben al di sotto della media continentale (0,32%). Giusto per farci due calcoli, nel Regno Unito il numero di scaleup è dieci volte superiore alle nostre e raccoglie 22,4 volte più investimenti.