Agenda digitale e PA: tanto lavoro fatto, ma l'Italia resta indietro
L'Italia mostra miglioramenti nell'attuazione dell'Agenda Digitale, ma nei Digital Maturity Indexes è ancora terzultima in Europa per fattori abilitanti e quartultima per risultati raggiunti
ROMA - Nel 2017 l’Italia ha «cambiato passo» nell’attuazione della sua Agenda Digitale. Ha redatto un Piano Triennale che indirizza in modo chiaro la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione, specificando come riqualificare i 5,6 miliardi di euro spesi in tecnologie digitali dal settore pubblico; continua a pieno ritmo il Piano Banda Ultra Larga, grazie a cui la copertura a 30 Mbps è quasi raddoppiata rispetto al 2015; prendono forma i progetti di infrastrutture chiave, con 1,7 milioni di identità SPID, 4 milioni di transazioni PagoPA e oltre 800 comuni che hanno testato l’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR); si cominciano a usare gli oltre 11 miliardi di euro di risorse europee messe a disposizione da qui al 2020 e il Piano Industria 4.0 sostiene la digitalizzazione delle imprese; sono state semplificate molte normative e creati spazi virtuali (come forum.italia.it) per discutere problemi e favorire la partecipazione locale. Tutte queste azioni dovrebbero migliorare il nostro posizionamento sui Digital Maturity Indexes, il sistema di 118 indicatori sviluppato dall'Osservatorio Agenda Digitale per misurare con maggior precisione del DESI il livello di digitalizzazione dei Paesi europei. Ma negli ultimi dati disponibili, relativi al 2016, l’Italia è solo 25esima su 28 Paesi europei per sforzi fatti nell’attuazione della propria Agenda Digitale e appena 24esima per risultati raggiunti. Sono solo alcuni dei risultati della ricerca dell'Osservatorio Agenda Digitale della School of Managament del Politecnico di Milano.
«Questi risultati non stupiscono – afferma Alessandro Perego, Direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation -. Anni di miopia e mancati investimenti avevano creato una situazione critica che, nonostante l’impegno degli ultimi tre anni, non si poteva ribaltare in poco tempo. Siamo indietro nel livello di digitalizzazione, ma stiamo riducendo i gap con i Paesi a noi simili per caratteristiche dimensionali e socio-economiche: Francia, Germania, Polonia, Regno Unito e Spagna. Ora è di vitale importanza garantire continuità a tutte le iniziative portate avanti, sia a livello centrale che a livello locale, e coinvolgere pienamente i dipendenti pubblici nella trasformazione digitale della PA. Non dobbiamo rallentare la corsa per riuscire a cogliere pienamente le opportunità offerte dall’innovazione digitale, ma questa corsa si vince veramente solo se tutti arrivano in fondo».
L'attuazione dell'Agenda Digitale
Secondo i dati 2017 (riferiti al 2016) del Digital Economy and Society Index (DESI), l'indice creato dalla Commissione europea che misura i progressi dei Paesi europei nella digitalizzazione, l’Italia è 25esima su 28 Paesi europei: la stessa posizione del 2015, pur con decisi incrementi in molti indicatori. Il DESI però non misura precisamente l’attuazione dell’Agenda Digitale perché utilizza dati non completamente aggiornati e non sempre attendibili, inoltre non offre indicazioni utili per comprendere le aree in cui investire. Per superare questi limiti, l'Osservatorio Agenda Digitale propone i Digital Maturity Indexes (DMI) che considerano complessivamente 118 indicatori a livello internazionale. In base ai DMI l’Italia è 25esima su 28 Paesi europei per sforzi fatti nell’attuazione della propria Agenda Digitale e 24esima per risultati raggiunti.
Scorrendo gli indicatori del DMI, infatti, l'Italia presenta risultati ancora insufficienti nelle infrastrutture per la digitalizzazione, con un punteggio di 0,47 contro una media europea di 0,54: tra i vari risultati, solo il 7% di abitazioni italiane ha una connessione oltre i 30 Mbps (quart’ultimi in Europa) e solo il 2% una connessione a 100 Mbps (sempre quart’ultimi), anche se siamo sopra la media per diffusione di banda larga mobile (85% contro 84%). Scarsi risultati nella digitalizzazione della PA, in cui l’Italia registra un punteggio di 0,42 contro la media europea del 0,51: si riducono gli utenti dei servizi eGov, migliorano gli Open Data, soffre la sanità digitale. E non è ancora sufficiente la digitalizzazione delle imprese con un punteggio di 0,22 contro la media europea dello 0,28: solo il 71% delle imprese italiane ha un sito web, contro la media europea del 77, solo l’8% effettua vendite online per almeno l’1% del fatturato, contro il 18% della media europea. Ma il maggiore gap lo scontiamo nella cittadinanza digitale, con un punteggio di 0,38 contro una media europea di 0,48: gli italiani utilizzano poco la rete per prendere parte a consultazioni civiche o politiche (6% contro 7%), fare corsi di formazione (5% contro 7%), cercare opportunità di lavoro (12% contro 17%) ed informazioni su prodotti e servizi prima dell’acquisto (poco più di un terzo dei consumatori italiani si informa online, contro la media europea del 65%).
I cittadini e l’Agenda Digitale
I cittadini italiani hanno un basso livello di competenze digitali che impedisce loro, pur possedendo tutti gli strumenti tecnologici necessari, di sfruttare a pieno le opportunità offerte dal digitale. I servizi pubblici sono ancora poco utilizzati e potrebbero essere maggiormente semplificati e digitalizzati, mentre la maggior parte degli italiani vorrebbe sistemi automatici che gestiscano le loro esigenze senza fare richieste online, interagire con un operatore telefonico o recarsi a uno sportello. Lo rivela l'indagine realizzata dall'Osservatorio Agenda Digitale con il supporto di Doxa su un campione statisticamente rappresentativo di cittadini italiani tra i 18 e i 74 anni.
Competenze digitali
Le competenze digitali più diffuse tra gli italiani sono quelle relative alla gestione delle comunicazioni digitali (email, social network, videochiamate), presenti in media nel 72% della popolazione. Poi vengono, per il 65% dei cittadini, la gestione di file e informazioni digitali (copiare o spostare file, cercare info su siti della PA) e, per il 56%, la familiarità con i servizi online (fare acquisti online, trasferire file tra computer, usare online banking, creare presentazioni, installare software). Molti di meno, 45%, gli italiani che sanno produrre contenuti digitali: nel dettaglio solo il 49% è in grado di usare fogli di calcolo, appena il 15% sa programmare. La gran parte degli italiani con competenze digitali ha un’età inferiore a 55 anni. Bene i Millenials (i giovani tra i 18 e i 34 anni), non ci sono invece sostanziali differenze tra le persone dai 35 ai 54 anni, mentre le competenze crollano dopo i 65 anni «Gli italiani hanno competenze digitali inferiori alla media europea – commenta Giuliano Noci, responsabile scientifico dell'Osservatorio Agenda Digitale -. I numeri suggeriscono, piuttosto che interventi a pioggia, di incentivare lo sviluppo di competenze negli ambiti meno maturi, agendo con priorità sulle fasce della popolazione più bisognose di miglioramenti e su aspetti che potrebbero garantire cambi strutturali nel medio-lungo termine, come il miglioramento nella capacità di programmazione e nel numero di lauree in materie STEM».
Servizi pubblici digitali
Nell’ultimo anno l’80% degli italiani ha avuto almeno una volta l’esigenza di utilizzare un servizio pubblico, in particolare per la prenotazione di visite o esami (60%), il pagamento di ticket sanitari (54%), il ritiro dei referti (43%), il pagamento di tributi (38%) e la dichiarazione dei redditi (36%). Ma tra questi solo il 26% ha usato esclusivamente canali digitali per soddisfare ogni esigenza, mentre il 27% ha usato sia il canale digitale che lo sportello e un altro 27% si è sempre recato a uno sportello. Solo il 38% degli italiani che ha usato servizi pubblici digitali li ha trovati semplici. Sono particolarmente soddisfatti coloro che hanno ritirato un referto online, che hanno acquistato biglietti online per il trasporto pubblico e che hanno pagato digitalmente le tasse scolastiche, mentre sono giudicati complesse soprattutto le richieste digitali per bonus o contributi lavorativi o la consultazione del fascicolo digitale del lavoratore.
Spesso, per ricevere servizi pubblici, i cittadini devono produrre documenti in cui dichiarano ciò che le PA dovrebbero già conoscere, ad esempio l'autocertificazione della residenza o lo stato matrimoniale. Il 60% degli italiani vorrebbe sistemi che gestiscano automaticamente le loro esigenze, senza fare richieste online, interagire con un operatore telefonico o recarsi a uno sportello. E il livello di automazione desiderata cresce all’aumentare delle competenze digitali possedute.
Gli acquisti pubblici di tecnologie digitali
Dal 2013 al 2015 la PA italiana ha speso mediamente 5,6 miliardi di euro l’anno in tecnologie digitali. La Finanziaria 2016 ha chiesto alla PA italiana di tagliare entro il 2018 la spesa pubblica in digitale, attraverso la riduzione di spese correnti improduttive, che dovrebbero permettere di recuperare risorse per gli investimenti del Piano triennale. L'Osservatorio Agenda Digitale stima che a fine 2018 la riqualificazione prevista potrebbe far diminuire la spesa digitale a 5,1 miliardi di euro, liberando risorse per investimenti, pari al 15% della spesa a parità di risorse.
Prevista quindi una riduzione della spesa complessiva in tecnologie digitali della PA, a fine 2018, di almeno 500 milioni di euro, grazie all’adesione di tutte le PA alle infrastrutture immateriali come SPID, ANPR e PagoPA, che produrranno un risparmio di 400 milioni di euro, e a interventi di ottimizzazione dei costi legati all’acquisto e alla gestione di soluzioni digitali, con un risparmio complessivo di 100 milioni di euro. Nello stesso periodo gli investimenti pubblici in tecnologie digitali delle PA aumenteranno del 15%, arrivando a 1,4 miliardi di euro e le spese effettuate tramite soggetti aggregatori cresceranno dagli attuali 1,4 a circa 2,4 miliardi di euro l’anno.
«La spesa pubblica in tecnologie digitali non dovrebbe essere tagliata - afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell'Osservatorio Agenda Digitale -. Oggi il digitale vale meno dell’1% nei bilanci della PA, ma rappresenta una delle poche leve in grado di rendere qualitativamente ed economicamente sostenibile il restante 99%. La spesa pubblica in tecnologie digitali però deve essere riqualificata perché sono diversi gli sprechi denunciati nella gestione dell’informatica pubblica».
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