Trovo lavoro nella gig economy. Sì, ma a che prezzo?
Nei 29 paesi OECD sono arrivati a rappresentare il 33% dei lavori che comprendono: lavori temporanei, part-time e autonomi. In Italia raggiungono il 40%
MILANO - La chiamano economia dei lavoretti o app economy, giusto per citare alcuni dei nomi che identificano più o meno bene questo fenomeno che - al pari dello sviluppo tecnologico - si evolve rapidamente e proprio con l’utilizzo della tecnologia impiega vecchi lavori con nuove modalità. Un’economia che interessa da vicino anche l’attività sindacale e le nuove sfide che il mercato del lavoro pone di fronte alle organizzazioni che rappresentano i lavoratori. E che ci riguarda tutti, sia che vendiamo le nostre competenze in comunicazione sui social network, sia che tutte le sere indossiamo una pettorina colorata e andiamo a zonzo a consegnare sushi e patatine fritte. In bici. Anche con la pioggia.
Gig economy: serve un quadro normativo
Una delle principali sfide è sicuramente la definizione del rapporto di lavoro che oscilla dall’occasionale al subordinato secondo il tipo di prestazione offerta e della piattaforma di lavoro online utilizzata. La giurisprudenza italiana ancora attende a pronunciarsi su tale aspetto e intanto cominciano a vedersi alcuni tentativi per inquadrare dal punto di vista normativo questo «mondo di mezzo» delle categorie contrattuali. In tal senso, ci sono state alcune interrogazioni parlamentari che hanno proposto un inquadramento del rapporto di lavoro totalmente subordinato; soprattutto nel caso dei lavoratori delle consegne a domicilio come Foodora o Deliveroo. C’è la proposta della Scuola Europea delle Relazioni Industriali che propone invece tre pilastri su cui costruire una normativa della gig economy: 1) esercizio dei diritti sindacali; 2) Piattaforme quali agenzie di somministrazione; 3) Tutele assistenziali e previdenziali.
Il Manifesto per salvare la gig economy
Poi c’è il «Manifesto per salvare la gig economy» di Antonio Aloisi, Valerio De Stefano e Six Silberman che, partendo dal proclama dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro «il lavoro non è una merce» e aggiornandolo a «il lavoro non è una tecnologia», hanno condiviso 11 proposte - dal rating personale portabile all’orario minimo, per citarne alcune - perché l’economia on-demand non si trasformi nel Far West. Ma non solo. In particolare, questo manifesto parla di contratti ai senior proprio sulla base dei dati raccolti che possono contribuire a definire il numero di assunzioni stabili, anche a tempo parziale. L’attenzione è poi rivolta a un codice di condotta in modo da disciplinare i livelli minimi di pagamento da parte delle piattaforme, accrescere la condivisione dei criteri applicati dagli algoritmi reputazionali e selettivi e garantire la liceità dei contenuti scambiati online. Oltre a regole chiare per i pagamenti e criteri per distinguere esattamente la professionalità dall’amatorialità. A quanti invece si rivolgono alle piattaforme digitali in ragione della potenziale flessibilità organizzativa vanno garantiti turni personalizzati o progetti complessi con tempi non stretti.
Cosa si sta facendo a livello europeo
A livello europeo anche la Confederazione Europea dei Sindacati e UNI Europa hanno già lanciato iniziative e gruppi di lavoro sul tema, confrontandosi anche con la Commissione Europea che, da canto suo, invita i singoli Paesi a interagire con le parti sociali e le altre istituzioni affinché si possa trovare una definizione del quadro normativo per i lavoratori della gig economy. L’ETUI, l’istituto di ricerca della CES, ha proposto – grazie a un documento di Jan Drahokoupil e Brian Fabo l’idea di estendere i contratti collettivi ai lavoratori delle piattaforme online. Un invito a riflettere soprattutto alla luce del fatto che il settore terziario in Italia è diventato centrale negli ultimi anni, così come i dati di varie ricerche sull’occupazione italiana ci dimostrano. Nonostante sia arduo definire oggi l’entità del fenomeno in Italia, è certo invece che la quota è in crescita e sembra toccare le centinaia di migliaia di persone coinvolte non solo nelle principali città italiane del Centro-Nord ma in maniera più o meno diffusa anche nel resto del Paese. Nei 29 paesi OECD sono arrivati a rappresentare il 33% dei lavori che comprendono: lavori temporanei, part-time e autonomi. In Italia raggiungono il 40% e sono in crescita rispetto ai classici lavori subordinati e a tempo indeterminato.
L’evento
Di tutto ciò si parlerà il 20 ottobre, nella sala riunioni della UILTuCS Milano e Lombardia di via Melchiorre Gioia 41/a a Milano, a partire dalle ore 9.00. I relatori dell’evento saranno Michele Tamburrelli, Segretario generale UILTuCS Milano e Lombardia; Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL; Antonio Aloisi, Ricercatore Dipartimento Studi Giuridici Università Bocconi di Milano e autore di diversi studi sulla gig economy, Chiara Gribaudo, Parlamentare PD, Commissione Lavoro; Veronica Tentori, Parlamentare PD, Commissione Turismo, Commercio e Attività produttive, alcuni rappresentanti dei rider delle principali app del delivery di Torino e Milano; Gabriele Fiorino, Segretario Nazionale UILTuCS e Giovanni Gazzo, Presidente UILTuCS Milano e Lombardia. Seguirà un dibattito tra i partecipanti all’iniziativa.
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