19 aprile 2024
Aggiornato 07:00
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Calmi tutti, l'invasione di robot che tanto ci spaventa è davvero (ancora) molto lontana

A oggi sono ancora molte le operazioni che un robot non è capace di compiere. Ne abbiamo parlato con Fulvio Mastrogiovanni, docente in Robotica dell'Università di Genova

Calmi tutti, l'invasione di robot che tanto ci spaventa è davvero (ancora) molto lontana
Calmi tutti, l'invasione di robot che tanto ci spaventa è davvero (ancora) molto lontana Foto: Shutterstock

GENOVA - A proposito di robot. Immaginate di dover imbandire un tavolo per la cena. Sistemate accuratamente forchette e coltelli nella giusta posizione, accanto a tovaglioli bianco latte. I tovaglioli sono soffici, potrebbero scappavi dalle dita se non aveste la giusta presa. Lo stesso vale per la brocca d’acqua. Già prima di arraffarla e posizionarla sul tavolo sapete, di fatto, che avrete bisogno di una forza leggermente maggiore di quella che avete impiegato per i tovaglioli. Gesti semplici, quotidiani. E allora vi starete chiedendo cosa centri una tavola imbandita, con i robot. Centra. Perché tutte queste azioni, apparentemente semplici per noi, non sono - a oggi - facilmente replicabili da un robot. E, contro ogni proiezione titanica e futuristica che ci vede sopraffatti da macchine, completamente dominati dall’intelligenza artificiale, è doveroso ammettere che ci siamo spinti un po’ troppo avanti, nell’immaginazione. Almeno per ora.

Lontani da un’invasione di robot
«I robot di oggi non sono in grado di interagire con l’ambiente che li circonda, se non in scenari controllati. Sono ancora molti i passi che dobbiamo compiere in questa direzione. Un robot non sa distinguere facilmente un coltello da una forchetta, non è in grado di capire se una bottiglia è piena o vuota. Nonostante gli sviluppi nel campo della sensoristica per un robot è molto complesso afferrare un oggetto e altrettanto complicato moderare la forza della presa a seconda dell’oggetto che si trova di fronte. Quasi sicuramente finirebbe per rovesciare completamente l’acqua sulla tovaglia. Non esiste a oggi un robot che sappia adattarsi al contesto che lo circonda e comportarsi di conseguenza come se fosse un uomo», mi racconta Fulvio Mastrogiovanni. Fulvio Mastrogiovanni è docente di EMARO il corso di laurea internazionale in robotica di Genova, tutto in lingua inglese, finanziato grazie al supporto dell’Unione Europea. Un corso di laurea, direi, tra i migliori al mondo dato che si districa tra quattro sedi in Europa (quelle che hanno fatto domanda e ottenuto i fondi dall’UE - Nantes, Varsavia, Valencia e Genova) e permette agli studenti di diversificare il percorso di studi frequentandolo in sedi diverse e magari decidere di laureasi alle Università di Shanghai o Tokyo, affiliate del progetto Emaro. Al quale, anche a Genova, arrivano studenti da tutto il mondo. Per Fulvio, la ricerca e gli sviluppi nel campo della robotica hanno ancora molta strada da percorrere per arrivare a una macchina totalmente umanoide.

Molto più probabile lo sviluppo dell’AI
Calmiamo i bollenti spiriti, quindi, e mettiamoci l’anima in pace: l’invasione dei robot che tanto ci spaventa ed è stato motivo di ispirazione di moltissimi scrittori e registi, è davvero molto lontana. Se dobbiamo temere in qualcosa, è molto più auspicabile che sia l’Intelligenza Artificiale a sorprenderci e, grazie a Machine e Deep Learning, fare molti più progressi di quelli che ci saremo attesi anche solo 5 anni fa. Cosa significa? Che le capacità cognitive dei robot potrebbero svilupparsi molto più velocemente di quelle fisiche. Pensate agli assistenti virtuali. A un’Alexa che vi ordina la pizza margherita dal ristorante sotto casa o vi consiglia il giusto ‘dress code’ a seconda degli acquisti che avete fatto la settimana prima su Amazon. Ma le implementazioni del Machine Laerning vanno ben oltre questi aspetti quotidiani e si spingono più in là, nella capacità di riconoscere e percepire le emozioni umane. Recentemente un team cinese ha sviluppato un chatbot in grado di produrre risposte effettivamente coerenti e allo stesso tempo infondere nella sua conversazione emozioni come felicità, tristezza o rabbia. Si tratta di un passo importante verso lo sviluppo di macchine capaci di comprendere il tono emotivo di una conversazione e quindi rispondere conseguentemente. Ma anche qui, siamo davvero molto lontani da un mondo dove le macchine ci manipolano come ‘pupi’ colorati in un antico teatro per marionette di Palermo.

La robotica collaborativa
Niente robot che, in tempi brevi, si aggirano tra le stanze di casa, quindi e ci assolgono nel buoi della notte, se vogliamo essere melodrammatici. Eppure la ricerca, in questo settore, sta compiendo passi da gigante. I giornali parlano. Gli economisti discutono di automazione e le aziende fanno a gara per mettere sul mercato la prima macchina che si guida da sola. Alcuni robot sono già tra di noi. «Sicuramente potremo vedere circolare sulle nostre strade macchine a guida (in parte) autonoma - continua Fulvio - diciamo nell’arco di una decina d’anni. Lo stesso vale per i robot collaborativi che saranno utilizzati nelle fabbriche già fra 2 o 3 anni. Non dobbiamo pensare, però, a una totale sostituzione dei lavoratori anche se è innegabile che alcune mansioni andranno morendo come già sta accadendo ora. Se ci riflettiamo è anche positivo che alcuni lavori, specie quelli pericolosi, siano affidati a delle macchine. La robotica collaborativa, tuttavia, non mira a sostituire l’uomo totalmente, ma crea un contesto di interazione e collaborazione tra i due attori. La direzione presa dalla ricerca, in questo senso, è quella di rendere i robot più accettabili dall’uomo, soprattutto a livello lavorativo, dove la loro introduzione sarebbe giustamente ostacolata da sollevazioni sociali». Passi in questa direzione li sta facendo Amazon: nei suoi magazzini ci sono già circa 45mila dipendenti robot che  contribuiscono a ridurre al minimo il movimento e le ferite dell'uomo in questi enormi centri di stoccaggio. Le macchine, di fatto, possono recuperare più velocemente i prodotti di quanto non facciano le persone. Nel 2012, Amazon ha acquistato Kiva Systems, un pioniere nel settore dei robot di magazzino. Tre anni dopo, l'azienda con sede nel Massachusetts, è stata ribattezzata Amazon Robotics e ha iniziato a spedire tutte le sue sfavillanti macchine di colore arancione al suo genitore (Bezos). L'operaio diventa supervisore e, in un futuro non troppo lontano, dovrà imparare il funzionamento di un robot, per aiutarlo a compiere le sue mansioni o intervenire in caso di necessità. Lo stesso sta già facendo Alibaba che si è dotata di circa 60 robot che si muovono all’interno del più grande magazzino della Cina, TMall. Ovviamente anche questi, progettati per compiti specifici come lo spostamento di un oggetto in magazzino, non riescono ancora, ad esempio, a ordinare una grande pila di oggetti.

La ricerca, anche in Italia
La palla passa ai ricercatori dunque e non è così strambo pensare che alcuni sviluppi verso robot più umanoidi possa realizzarsi anche qui in Italia, Paese che, malgrado i luoghi comuni, continua ad essere altamente attrattivo per la formazione e la ricerca universitaria. Se da un lato abbiamo poche aziende (specie nel settore della robotica) in grado di attrarre e assumere talenti, dall’altra la qualità delle nostre Università resta indiscussa. E omogenea, anche territorialmente (non esistono differenze tra Nord e Sud). «In Italia siamo in un momento di transizione - conclude Fulvio -. Devo ammettere che molti nostri studenti vanno a lavorare all’estero perchè in Italia l'offerta industriale è limitata e le condizioni economiche svantaggiose. Altrettanti, però, si fermano per continuare la ricerca, per continuare a studiare e sviluppare nuovi scenari futuri. Sì, dovremo essere capaci di mantenere qui i nostri talenti (e anche quelli esteri)». Ma questa, è un’altra storia.