25 aprile 2024
Aggiornato 11:30
università

La storia dell'Erasmus, di una donna arrabbiata e dell'internazionalizzazione

Fu Sofia Corradi, classe 1934, a dare i natali all'Erasmus, programma di studio europeo che ha già mosso ben 4 milioni di studenti universitari dal 1987

Erasmus
Erasmus Foto: Shutterstock

ROMA - Secondo Indire, l'Istituto nazionale documentazione e innovazione ricerca educativa, saranno 41mila gli studenti universitari italiani che nell’anno accademico 2017/18 partiranno alla volta dell’Erasmus, percorso formativo che permette ai giovani di studiare all’estero e per il quale, quest’anno, sono stati spesi circa 70 milioni di euro. Un programma che trova le sue radici e fondamenta nella contaminazione, nella condivisione di idee e di culture differenti, mischiate e unite dallo studio e dal sapere. Con la conclusione che un po’ tutti dovrebbero fare l’Erasmus, anche gli idraulici, i gioiellieri, gli addetti alla ristorazione. Perchè non si tratta solo di prendere un'areo e stare per un anno lontano da casa, amici e parenti.

La storia dell’Erasmus
E pensare che c’è voluto il coraggio e la determinazione di una donna per far vedere la luce a questo grande progetto di integrazione culturale europea. Sofia Corradi, classe 1934. Un insieme di combinazioni favorevoli: l’ultimo anno di Giurisprudenza, una sfilza di 30 e lode, 3 esami ancora da dare e un premio, una borsa di studio alla Columbia University di New York. E così Sofia aveva fatto le valigie, era salita sul primo aereo e con impegno e determinazione era riuscita a ottenere un master in Diritto comparato. Tornata a casa, a Roma, Sofia decide di chiedere il riconoscimento di quella specializzazione, ma niente, la strada sembra tutt'altro che facile: il rettore dell’Università la ricopre addirittura di insulti, dicendole che qui in Italia nessuno avrebbe regalato nulla a chi si andava a fare una ‘scampagnata’ negli Stati Uniti.

Una battaglia lunga 18 anni
Sofia si rimette a studiare e si laurea con 110 e lode. Svolge attività di ricerca sul diritto allo studio presso l’Onu e inizia la sua battaglia per creare un metodo che permetta il riconoscimento degli studi effettuati all’estero. Diventa infine consulente della Conferenza dei Rettori Italiani. Inizia a bussare a tutte le porte possibili e nel 1969 propone quello che sarà l’Erasmus ai Rettori. L’idea piace ma si dovranno aspettare il 1986 e Francois Mitterrand per trovare l’appoggio e il sì definitivo. Una battaglia che, a conti fatti, è durata quasi 18 anni. Il 14 maggio 1987, nonostante l’opposizione degli inglesi, a Bruxelles in Consiglio dei ministri viene votata la delibera che vara la nascita di un programma di studio all’estero. Il 15 giugno la ratifica. E, così, inizia questo grande progetto che ha permesso a milioni di studenti di contaminarsi, integrarsi e - diciamolo - anche procreare, visto che sono circa 1 milione gli ‘erasmini’, i bambini nati dagli incontri andati a buon fine durante gli studi.

Quattro milioni di studenti in Europa
Dall’inizio del programma (1987) fino a oggi, gli studenti universitari complessivamente coinvolti a livello europeo hanno superato i 4 milioni. Siamo un Paese anche piuttosto accogliente, noi italiani, al quinto posto dopo Spagna, Germania, Francia e Regno Unito, con 21.915 studenti europei ospitati nelle università italiane nel 2015-16 (anno su cui sono disponibili dati definitivi). Tra le università italiane che ricevono più studenti dal resto del mondo, il Politecnico di Torino è al primo posto, seguito dall’Università degli Studi di Padova, dall’Università degli Studi della Tuscia, dall’Alma Mater di Bologna e dall’Università degli Studi di Torino. Nel corso dell’anno sono partiti dall’Italia 33.977 studenti, di cui 7.666 per tirocinio, principalmente verso Spagna (9.903 studenti), Francia (4.319), Germania (4.036) e Regno Unito (3.082).

L’internazionalizzazione
Non si tratta di migrazioni, però. L’Erasmus rappresenta un’opportunità molto importante per apprendere il valore della globalizzazione, dei mercati esteri e dell’internazionalizzazione, qualsiasi sia poi il lavoro che sarà svolto in futuro. Avere uno sguardo internazionale rappresenta oggi il vero passo da compiere se vogliamo ridare all’economia italiana quello smalto che la sempre caratterizzata nel passato. Soprattutto quando parliamo di imprese. Il fenomeno dell’internazionalizzazione delle imprese è cambiato notevolmente negli ultimi trent’anni. Fino al termine degli anni ’80, gli economisti descrivevano l’internazionalizzazione come un fenomeno graduale che prevedeva per l’impresa un’espansione estera solo dopo aver raggiunto la maturità tecnologica, aver penetrato il mercato geografico del Paese di origine, e aver raggiunto volumi di vendita tali da garantire economie di scala che avrebbero consentito di coprire i costi maggiori legati ai mercati internazionali.  La verità, però, è che globali si nasce.  A partire dagli anni ’90, altri economisti hanno messo in dubbio la validità di questi modelli teorici ritenendoli non applicabili a un numero crescente di imprese che affrontavano il tema dell’internazionalizzazione fin dai primi anni di vita dell’azienda. Queste imprese sono state così denominate Born Global, per identificare da una parte l’internazionalizzazione precoce, dall’altra l’ampiezza dell’internazionalizzazione ovvero l’ingresso su diversi mercati simultaneamente. Un processo che ha caratterizzato buona parte del mondo, ma che ha visto l’Italia rimanere un po’ indietro.