29 marzo 2024
Aggiornato 11:00
intelligenza artificiale

Data Selfie, l'app che ti dice cosa sa Facebook di noi

Data Selfie e nasce da un’idea di Hang Do Thi Duc e Regina Flores Mir, fondatori di Data X. Si tratta di un estensione per Google Chrome che prova a capire meglio quali e quante informazioni Facebook raccoglie su di noi

Data Selfie, l'app che ti dice cosa sa Facebook di noi
Data Selfie, l'app che ti dice cosa sa Facebook di noi Foto: Shutterstock

ROMA - C’è un gran bel parlare, nell’ultimo periodo, di Big Data, intelligenza artificiale e della cosiddetta profilazione utente. La nuova frontiera, attraverso cui passano le ultime innovazioni di processo e di prodotto. In sostanza, se vuoi avere un’impresa di successo non puoi prescindere dal conoscere bene il tuo cliente, per proporgli il prodotto/servizio giusto, nel modo giusto, adatto a lui. Come fai a conoscerlo? Grazie ai dati. Dati che ti servono per profilarlo. Voilà. Ecco fatto.

Cosa sa di noi Facebook
Come sappiamo tutto ciò che compiamo attraverso la rete viene registrato e immagazzinato. Lasciamo impronte ovunque, a discapito della nostra privacy. Il modo più semplice di lasciare impronte e di essere osservati, oggi, è compiere azioni sui social network: Facebook in cima alla classifica. Ogni condivisione, like o commento, in qualche modo, rappresenta una nostra caratteristica, preferenza o punto di vista. Nozioni queste che risultano molto importanti per le aziende. Ma che cosa sa davvero di noi Facebook? Di fatto Mark Zuckerberg ha fatto sì che, attraverso un algoritmo, ci venissero proposti dei post piuttosto che altri sulla base delle nostre preferenze. L’algoritmo in questione, quindi, ragiona come ragioniamo noi. E per farlo sa, necessariamente, delle cose sul nostro conto.

Cosa fa Data Selfie
Esiste un modo, però, per conoscere cosa sa Facebook di noi. Si chiama Data Selfie e nasce da un’idea di Hang Do Thi Duc e Regina Flores Mir, fondatori di Data X. Si tratta di un estensione per Google Chrome, che prova a renderla visibile, aiutando a capire meglio quali e quante informazioni Facebook raccoglie su di noi, ma soprattutto in quale modo le nostre azioni - i like, il tempo trascorso a leggere un post, i link su cui clicchiamo - vengono costantemente interpolate per estrarre un ritratto della nostra personalità digitale. Nello specifico Data Selfie riesce ad analizzare tutte la nostra attività su Facebook, sia a cosa mettiamo mi piace, quanto tempo impieghiamo nello scorrere la bacheca, quanto stiamo fermi sul post di quale profilo o di quale pagina fino a quanto tempo in generale passiamo all’interno del social network.

I dati ricavati
Dopo un periodo prolungato di analisi, è possibile risalire a moltissimi dati. Quanti mi piace abbiamo messo nell’arco della giornata, quanto abbiamo aperto un link cliccandoci sopra o semplicemente guardato qualcosa. Attraverso il like alle pagine è in grado di dirci il nostro pensiero religioso o politico in generale. I dati raccolti possono essere naturalmente scaricati per essere analizzati in un secondo momento, sia poterli importare. Insomma, un programma è in grado di dirci tutto (o quasi) sulla nostra personalità digitale. Che poi è anche quella reale. O no?

Siamo proprietari dei nostri dati?
L’immagazzinamento di tutti questi dati, però, solleva dei dubbi in relazione non solo a questioni di privacy, ma anche allo sfruttamento economico e del diritto di proprietà sugli stessi. Se da una parte è vero che i dati sono restituiti alle aziende in formato anonimo, è anche vero che, come consumatori, non sappiamo esattamente quali sono tutte le informazioni che i giganti del web raccolgono sui nostri comportamenti. «In questa direzione, l’articolo 20.1 del nuovo Regolamento Generale per la protezione dei dati personali (GDPR) crea un nuovo diritto per gli interessati del trattamento, Il c.d diritto alla portabilità dei dati che consente ai consumatori di ricevere i loro dati personali, forniti ad un titolare del trattamento, in modo strutturato, comunemente usato e leggibile da un elaboratore (quindi assolutamente non in formato cartaceo) - spiega meglio Alessandro Sisti, di Digital Consultant -.  In questo modo l’interessato può decidere di trasmettere i dati ad un altro titolare del trattamento, come ad un altra azienda, portandoli in «dote» quando si inizia una nuova relazione di business».