2 maggio 2024
Aggiornato 00:00
La gabbia europea

Ex premier polacco: Polonia ha il diritto morale ad essere risarcita per la sua adesione all'Ue

L’ex primo ministro polacco Jaroslaw Kaczynski ha rivolto parole molto dure all'Unione europea, che a suo avviso dovrebbe risarcire la Polonia per le perdite subite nella Seconda Guerra Mondiale, ma anche per la sua stessa adesione all'Ue

VARSAVIA - Scampato il «pericolo Le Pen», non si pu certo dire che l'Europa sia in salvo. Lo dimostra plasticamente la crisi degli sbarchi in Italia di questi giorni, di fronte alla quale Francia, Spagna e Austria hanno esplicitamente voltato le spalle al Belpaese, e l'Ue continua a latitare. Il malcontento, insomma, continua a serpeggiare, al punto che l’ex primo ministro polacco Jaroslaw Kaczynski, nonché leader di Legge e Giustizia (PiS), ha detto che la Polonia ha il «diritto morale» di chiedere un risarcimento per le perdite subite durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma anche per i danni economici che sono conseguiti al suo ingresso nell’Unione Europea.

Risarcimento per la Seconda Guerra Mondiale e...
Kaczynski non ci ha girato troppo intorno. «È importante ricordare … ai nostri critici nei paesi dell’ovest che la Polonia è stato il primo paese che ha dovuto opporsi alla Germania nazista, e appena 17 giorni dopo è stata invasa da un altro totalitarismo genocidario: l’Unione Sovietica», ha detto nel suo discorso di sabato al congresso del partito. L'ex Primo ministro ha anche aggiunto che il Paese non ha mai ricevuto alcun risarcimento per «il gigantesco danno dal quale ancora non si è ripresa», ma avrebbe il «diritto morale» a ottenerlo.

... per l'entrata nell'Ue
Ma non basta. Perché Kaczynski si è spinto ad affermare che l’Unione Europea dovrebbe concedere a Varsavia anche un risarcimento per il fatto stesso di essere entrata nell'Ue, visto che, a suo dire, tutti i benefici derivanti dall'appartenenza all'Ue sono stati in realtà raccolti dai paesi membri dell’Europa occidentale. «Il lavoro polacco a basso costo … ha dato beneficio anche alle economie occidentali», ha affermato. «Per quanto riguarda l’utilizzo dei fondi europei, anch’essi sono andati  a beneficio delle aziende [occidentali] e sono i loro rispettivi paesi che ne traggono profitto. Le aziende [occidentali] con sede in Polonia trasferiscono ogni anno decine di miliardi di złoty, senza versare imposte», ha aggiunto Kaczynski. Una critica dura all'unione, che però, a suo dire, non consente di definire il suo partito «antieuropeo». La Polonia, ha affermato, si fonda su due «pilastri»: la NATO e la Ue.

Diritto a dire no ai rifugiati
Alla luce di quanto detto, Kaczynski ha affermato che il suo Paese ha il diritto di dire «no» all’idea di accettare rifugiati, perché la Polonia non ha nulla a che vedere con le cause originarie della crisi. «Noi non abbiamo mai sfruttato i paesi da cui quei rifugiati si stanno muovendo per venire in Europa oggi, non abbiamo mai usato la loro forza lavoro, e non siamo stati noi a invitarli a venire in Europa. Abbiamo il pieno diritto morale di dire ‘no’ », ha detto Kaczynski, secondo quanto riferito da Reuters. A suo avviso, le relocation previste in Polonia potrebbero creare «grossi problemi di sicurezza», che «non riguardano solo il terrorismo, ma anche la sicurezza della vita di tutti i giorni», ha detto.

No alle relocation
La Polonia è uno dei Paesi che da sempre sono molto critici rispetto alla relocation degli oltre 100.000 migranti che hanno già raggiunto il continente. In totale, solo 21.000 richiedenti asilo, dei 160mila inizialmente promessi, sono stati distribuiti nei paesi europei dall’inizio del programma di ricollocazione, di cui 14.000 provenienti dalla Grecia, e il resto dall’Italia. La Polonia, però, non ha mai accettato alcun rifugiato, al punto che, a metà giugno, la Commissione Europea ha avviato un’azione legale contro il Paese, (insieme ad Ungheria e Repubblica Ceca), a causa del loro rifuto di realizzare le relocation. A questo proposito, il vice-ministro degli esteri Konrad Szymanski ha dichiarato che la Polonia è pronta a difendersi presso una corte europea.