25 aprile 2024
Aggiornato 01:30
Vince l'estremista di centro, per ora

Macron contro Le Pen: lo scontro per l'Eliseo è Ue contro nazione

La 'speranza' emersa dalle urne del primo turno ha due volti che più diversi non si poteva e che testimoniano, in maniera plastica, l'entità della frattura sociale in atto in Francia

PARIGI - Se la paura, per i francesi, si è incarnata a poche ore dal voto con le raffiche di mitra sugli Champs-Élysées, la «speranza» emersa dalle urne del primo turno ha due volti che più diversi non si poteva e che testimoniano, in maniera plastica, l'entità della frattura sociale in atto in Francia: la stessa – centro/periferia, città/campagna - che si era già manifestata nelle stesse modalità con la Brexit e con il voto in Austria.

Macron, vince l'estremista di centro
Il vincitore, nel senso stretto del termine, è proprio l'outsider trentanovenne che fino a pochi mesi fa era conosciuto principalmente per essere stato ministro dell'Economia di Hollande. Emmanuel Macron con «En marche!» ha materializzato una cavalcata trionfante che – seppur sostenuta da tutti i poteri forti, le cancellerie, i media mainstream – è stata percepita dall'elettorato come una proposta ultra-sistema, in grado allo stesso tempo di tenere a bada l'avanzata dei nazional-populisti di Marine Le Pen ma anche di «rottamare» l'esperienza del governo socialista più impopolare della recente storia di Francia. Tutto questo presentando una ricetta sfacciatamente europeista ma con temi trasversali che hanno strizzato l'occhio agli elettori delusi dai Republicains e soprattutto a quelli di un Partito socialista alla deriva.

Marine, la sfidante «in nome del popolo»
La conferma di questo primo turno, invece, si chiama Marine Le Pen. «Eu nom de peuple», in nome del popolo, non è stato solo lo slogan-manifesto della sua campagna elettorale ma a questo punto il responso di almeno un francese su cinque nel «primo tempo» delle Presidenziali più combattute e incerte della Quinta Repubblica. Quindici anni dopo il primo turno «shock» che portò il padre Jean-Marie al ballottaggio contro Jacques Chirac, una Le Pen torna quindi a contendere la presidenza del Paese cardine per il futuro stesso dell'Ue. Ma rispetto al padre – la cui corsa si infranse contro l'union sacrée innalzata per sbarrare la strada a «le diable du la République» - tutto è davvero cambiato: a partire dall'impianto bipartitico socialisti-gollisti che assicurava il reciproco sostegno in caso di incursioni lepeniste fino alle nuove frontiere «social» del terrorismo e al fallimento strutturale del sogno chiamato euro.

A lei si deve l'evoluzione del Front National
Non solo il mondo è cambiato, ma anche il Front National. E qui i meriti di Marine Le Pen sono tanti. Prima di tutto l'aver trasformato un partito accentrato sulla «mitologia» dell'Algeria francese e sulla difesa della Francia rurale in un moderno soggetto nazional-populista pronto a intercettare a Nord i cosiddetti «sconfitti della globalizzazione», l'ultima appendice operaia, e a Sud i ceti produttivi legati alla produzione di qualità. Marine, poi, è stata capace di spostare il dibattito sulla laicité e la difesa della République – due valori istituzionali per eccellenza – tutto all'interno del codice narrativo sovranista: la vocazione nazionale, quindi, come difesa dello stile di vita francese contro l'ingerenza dell'Ue e «l'invasione» musulmana. L'operazione di dédiabolisation del partito da parte della figlia, poi, è stata così profonda da riuscire a integrare il frontismo non solo con i ceti professionali e intellettuali ma a imporre pure un nuovo immaginario: accanto alla Fiamma del vecchio Fn è arrivata la «rosa», come simbolo della campagna presidenziale strappato ai socialisti, dipinta di blue, colore storico dei repubblicani.

Due populismi «immaginari»
Un modo per essere «sia» di destra che di sinistra questo di Marine perché – come è già riuscita ad anticipare tutti su questo – la frattura per lei è e sarà tra patrioti e mondialisti. Discorso opposto e contrario quello di Macron che nel suo essere «né di destra né di sinistra» - e qui sono in molti a vedere un richiamo alla stagione del «ma anche» del primo segretario del Pd Walter Veltroni – intende «acchiappare» la voglia trasversale di rinnovamento sì ma all'interno dello schema conosciuto. Da un lato «l'altrove» europeista insomma, dall'altro la Francia – ossia la nazione - come ritorno al luogo della democrazia sostanziale. Due richiami – una sorta di mare e di terra, per dirla con Schmitt - che rendono bene l'entità della posta in gioco del 7 maggio.