19 aprile 2024
Aggiornato 18:30
Un presidente italiano potrà davvero cambiare gli equilibri?

Europarlamento, Tajani-Pittella si scontrano per la presidenza. L'Italia cambierà l'Europa?

Duello tutto italiano per la presidenza del Parlamento europeo: il popolare Antonio Tajani contro il socialista Gianni Pittella. Cosa cambierà per l'Europa?

Il presidente uscente del Parlamento europeo Martin Schulz.
Il presidente uscente del Parlamento europeo Martin Schulz. Foto: Shutterstock

BRUXELLES - L'addio del tedesco Martin Schulz ha scatenato una battaglia tutta italiana. L'oggetto del contendere è la presidenza del Parlamento europeo; i duellanti in questione sono Antonio Tajani, deputato europeo di Forza Italia investito della nomination del Ppe, e Gianni Pittella, che correrebbe per i Socialisti e Democratici. Uno scontro che pare escludere, per espressa volontà di Pittella, l'ipotesi «compromesso», avanzata dai popolari, e che porterebbe, come già avviene da alcuni anni, i due gruppi a governare insieme l'agenda dell'Europarlamento, blindando dunque l'Italia ai suoi vertici. 

Tra i due litiganti il terzo gode?
Perché il rischio è che, andando allo scontro in aula, come insegna la saggezza popolare, tra i due litiganti goda il terzo. Che è poi l'ex premier belga liberale belga Guy Verhofstadt, la cui candidatura non è ancora ufficiale ma è ampiamente prevista nell'ambiente. E che sarebbe sostenuto, oltre che dai liberali, anche da alcuni gruppi minori, come i Verdi, ma anche da una parte dei socialisti.

L'accordo tra socialisti e popolari che potrebbe favorire l'Italia
Nel 2014 socialisti e popolari si accordarono per alternarsi alla presidenza: fino al 2017 la carica sarebbe dovuta rimanere in mano a un socialista, per poi passare a uno del Ppe. Un «patto» che ha già portato all'elezione di Juncker alla Commissione e di Schulz all'Europarlamento, e che questa volta avrebbe dovuto favorire Tajani. L'accordo avrebbe due obiettivi fondamentali: il primo, quello di costituire un argine contro le forze anti-europeiste e «di rottura»; il secondo, in questo caso specifico, potrebbe consegnare lo scettro proprio all'Italia. Prospettiva che, osservano alcuni, potrebbe «cambiare gli equilibri» di tutta l'Ue. 

Un italiano alla guida del Parlamento Ue cambierebbe l'Europa?
C'è infatti chi pensa che un italiano ai vertici dell'Europarlamento possa portare le istanze del Belpaese a Bruxelles, rivoluzionandone gli equilibri. L'Italia fa infatti parte dei cosiddetti «Pigs», quegli Stati del Sud Europa che più hanno pagato il prezzo dell'unificazione monetaria e, soprattutto, delle politiche di austerity dettate dalla Germania. Altro punto caldo, quello dell'immigrazione, visto che Roma aspirerebbe a modificare quel sistema di Dublino II che obbliga i migranti a fermarsi nel primo Paese di arrivo, in molti casi coincidente proprio con il Belpaese. Responsabilità più condivise sull'immigrazione, politiche economiche meno severe. Ma davvero un presidente dell'Europarlamento italiano riuscirebbe a portare a casa due simili risultati?

Cosa può fare il presidente dell'Europarlamento?
Improbabile, e per diverse ragioni. Primo: difficile che un presidente del Parlamento Ue, da solo, possa imprimere un cambiamento così grande. Dal punto di vista istituzionale, certamente gli spazi perché il numero 1 dell'Europarlamento faccia sentire la propria voce ci sono: i suoi poteri vanno dal presiedere le sedute, al rappresentare l'Europarlamento in Europa e fuori dall'Europa, al firmare gli atti legislativi approvati – tra cui il bilancio dell'Ue –, fino al presiedere  i comitati di conciliazione tra Parlamento e Consiglio istituiti in caso di disaccordo tra le due istituzioni. Inoltre, il Presidente esprime ai vertici del Consiglio Ue la posizione dell'Assemblea da lui presieduta. E' pur vero, però, che se in questi anni il Parlamento ha contato, è stato soprattutto per la sistanziale coerenza di vedute tra il suo presidente, Martin Schulz, e il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker.

Chi decide la governance economica europea?
La stessa governance economica europea è il risultato di una responsabilità condivisa tra gli Stati membri e le istituzioni Ue: il Consiglio europeo definisce gli orientamenti politici principali; l’Eurogruppo coordina le politiche di interesse comune per gli Stati membri dell’area dell’euro; gli Stati membri preparano il loro bilancio nel rispetto dei limiti concordati per il disavanzo e per il debito; la Commissione europea controlla l'efficienza e la conformità della politica economica europea; la BCE stabilisce la politica monetaria, preservando, come obiettivo principale, la stabilità dei prezzi; il Parlamento europeo condivide la funzione legislativa con il Consiglio e sottopone la governance economica al controllo democratico, in particolare attraverso il nuovo dialogo economico. Oltretutto, il modello economico adottato è quello che vige in generale in tutto il mondo occidentale, e che è fortemente sostenuto dalla finanza globale.

I grandi centri di potere convincono anche chi promette la «rivoluzione»
L'altra considerazione da fare è di carattere più generale. Tanti sono gli esempi di forze che, pur essendosi presentate in prima istanza come «rivoluzionarie» o avendo fatto presagire una promessa di cambiamento, una volta arrivate al potere sono state sostanzialmente «assorbite dal sistema», venendo meno alla loro intenzione di rimanere impassibili di fronte alle istanze dei grossi centri di potere e di chi conta. Si veda Alexis Tsipras in Grecia; si guardi a cosa sta accadendo oltreoceano con Donald Trump, che si sta mostrando sempre più vicino a quegli interessi contro cui, in campagna elettorale, affermava di voler lottare. Difficile, insomma, che un italiano ai vertici del Parlamento europeo possa davvero rivoluzionare un organismo così mastodontico e tanto compenetrato da grandi interessi e influenti centri di potere come l'Unione europea. Che neppure la Brexit, i tanti segnali di cedimento e l'incredibile ascesa dei populisti sono riusciti a smuovere.

Il terzo scenario

In teoria, l’unica cosa che potrebbe convincere Pittella a fare un passo indietro, è l’assicurazione formale che ai socialisti verrà assegnato il posto di presidente del Consiglio europeo, dove il polacco e popolare Donald Tusk è in scadenza a marzo, oppure che sia Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione e anche lui cristiano-democratico, a lasciare in anticipo la carica, facendo posto al suo vice, il socialista Frans Timmermans.

La Grosse Koalition

In altre parole, a disinnescare la bomba a tempo di Strasburgo dovranno essere i capi di Stato e di governo. Se così non fosse, della Grosse Koalition che fin qui ha retto l’Europarlamento resterebbero solo macerie. E non sarebbe una buona cosa. Perché se in questi anni l’Assemblea ha contato, è stato grazie alla sintonia tra il presidente uscente, il socialista Martin Schulz e Juncker. Un esempio? Il raddoppio dei fondi del cosiddetto Piano Juncker, che sarà deciso oggi dal Consiglio europeo.