Perché la Vallonia ha bloccato il Ceta, e perché è bene così
Dopo il fallimento dei negoziati sul TTIP, anche il Ceta potrebbe subire una sorte analoga, per il rifiuto del piccolo parlamento regionale della Vallonia, in Belgio. Che ricorda all'Ue cos'è la democrazia
BRUXELLES – Una decisione clamorosa, a circa due mesi dall'interruzione dei negoziati sul TTIP, il trattato di partnerariato transatlantico che avrebbe legato indissolubilmente i mercati di Ue e Usa (più a vantaggio di questi ultimi che della prima): anche il Ceta, il gemello canadese del TTIP, potrebbe essere a rischio (LEGGI ANCHE: «Non solo Ttip. Ecco come (nel silenzio generale) anche il Ceta minaccia il mercato europeo»).
Il no di una piccola regione belga
Il premier belga Charles Michel è stato costretto ad annunciare oggi di non poter firmare il Trattato europeo di libero scambio con il Canada, a causa del rifiuto categorico opposto dalla Vallonia. L'assetto costituzionale belga prevede infatti che, in occasione del voto su un trattato internazionale, tutte le regioni del Paese debbano dare il loro benestare. Ebbene, questo benestare, dalla Vallonia, non è arrivato. Strano a dirsi, ma un piccolo Parlamento regionale è riuscito a mettere sotto scacco Bruxelles. Che ora pensa di rinviare il vertice di giovedì, organizzato per portare a termine la firma dell'intesa, per dare tempo al Belgio di cambiare idea.
I buoni motivi della Vallonia
Si prevede ora che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk debba rinviare anche il vertice euro-canadese previsto per giovedì. Il Primo ministro belga ha ammesso, in parole povere, che il Belgio «non è in grado di firmare il CETA», dopo giornate di impasse a causa delle resistenze della Vallonia. La quale, dalla sua, ha buone, anzi buonissime ragioni per bloccare tutto. Sgradito, in particolare, risulta l'impianto arbitrale che deve servire a risolvere le controversie tra imprese e Governi. L'accordo con il Canada prevede che i magistrati incaricati di risolvere le questioni giuridiche vengano nominati dagli Stati, anziché dai privati come accade normalmente nei trattati commerciali. E la Vallonia teme di assistere a una vera e propria tirannia delle multinazionali.
Ragioni di politica interna
Oltretutto, dietro al rifiuto vallone vi sono anche ragioni di politica interna. La regione è infatti governata dal Partito socialista, che ha colto l'occasione per giocare un brutto tiro al Governo centrale di centrodestra, oltretutto conquistandosi il sostegno dell'opinione pubblica su un tema particolarmente sentito.
Un ultimatum già pronto dall'Ue?
Ma Bruxelles spera ancora di spuntarla, dopo l'onta dei falliti negoziati sul TTIP. La speranza è che la Vallonia possa cambiare idea. Cosa che, per alcuni, non sarebbe certo un cambiamento di linea spontaneo. Marine Le Pen ha ad esempio denunciato il tentativo dell'Ue di convincere la Vallonia mediante un «ultimatum», il che confermerebbe la «deriva totalitaria» dell'Unione. Ma da Bruxelles temono che questa incresciosa vicenda, dopo il precedente del TTIP, possa minare la credibilità europea con i partner internazionali.
La piccola Vallonia gioca un brutto tiro all'Ue
Anche perché la speranza non dichiarata è che il Ceta possa riaprire la strada al suo gemello statunitense, che, cacciato dalla porta, rientrerebbe dalla finestra. Oltretutto, anche il metodo di ratifica del Ceta sembrava a prova di colpi di testa: i Governi hanno infatti dato alla Commissione europea il mandato di negoziare per loro conto e in loro nome. E se l'entrata in vigore può essere in seconda battuta bloccata da una regione come la Vallonia, che rappresenta meno dell'1% della popolazione totale dell'Unione, chi mai vorrà negoziare in futuro con l'Europa, si chiede Bruxelles? Quando si dice, i «danni collaterali» della democrazia.
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