Siria, Obama cambia (di nuovo) idea: Mosca e Assad sono il nemico. Grazie a Hillary Clinton
Eravamo rimasti alla prospettiva di una cooperazione Usa-Russia in Siria. Ma ora, Obama sembra aver (di nuovo) cambiato idea. Guardacaso, riallineandosi alla 'dottrina' propugnata da Hillary
WAHINGTON - Proprio mentre il conflitto siriano sembrava avvicinarsi, pur faticosamente, a un punto di svolta - con la riconquista di Aleppo da parte delle truppe lealiste quasi ultimata e l'Isis in generale difficoltà - il presidente Usa Barack Obama pare aver ripensato le sue ultime mosse nel teatro bellico mediorientale. Dopo l'intervento di Vladimir Putin a fianco di Assad, infatti, la strategia fino a quel momento tenacemente perseguita da Washington - armare ribelli più o meno moderati contro il «dittatore siriano» - ha cominciato a vacillare. Strategia il cui unico risultato era stato quello di diffondere ulteriormente il seme del fondamentalismo e offrire di fatto un destro all'Isis. E così, a furia di ventilare una maggior cooperazione con Mosca, pareva che Washington avesse quasi accettato, almeno temporaneamente, la riabilitazione della figura di Bashar al Assad. L'ultimo accordo tra Russa e Usa dovrebbe prevedere il bombardamento del fronte al-Nusra, che fino a pochi giorni fa era affiliata ad al-Qaeda ma che, d'altra parte, è sempre stata in prima linea nell'opporsi ad Assad. E c'è anche chi dice che lo stesso intervento russo, al di là della propaganda, fosse in fin dei conti funzionale alla strategia del «caos» di Obama, che, rispetto al passato, ha perseguito un sempre maggiore disimpegno nella regione.
Il reset annunciato dalla Clinton
E invece, negli ultimi giorni qualcosa è cambiato. E' cambiato da quando il consigliere sulla politica estera di Hillary Clinton, Jeremy Bash, ha dichiarato che, se quest'ultima fosse eletta Presidente degli Stati Uniti, la politica statunitense in Siria cambierebbe fortemente. Perché il suo principale obiettivo sarebbe la «sanguinaria natura» del regime di Assad. Bash ha specificato che la Clinton esibirebbe un pugno ben più duro tanto contro l'Isis, quanto contro il Presidente siriano. «Un'amministrazione di Hillary Clinton non si esimerebbe dal ricordare agli americani che cos'è il regime di Bashar al Assad; che ha violato il diritto internazionale; che ha usato armi chimiche contro la sua stessa popolazione; che ha ucciso centinaia di migliaia di persone, inclusi migliaia di bambini». Un'amministrazione Clinton - ha eloquentemente chiosato Bash - porterebbe «maggiore chiarezza morale» alla strategia americana in Siria.
L'importanza della leadership americana
E' evidente che le parole di Bash, oltre a tratteggiare la prossima direzione che prenderà la politica estera americana in caso di vittoria della sua candidata, sono anche una velata critica all'attuale inquilino della Casa Bianca. Colpevole di aver perpetrato una politica troppo ambigua, disimpegnata, e di essersi di fatto adeguato alla strategia di Mosca, «abbandonando» la prioritaria lotta contro Damasco. Con Hillary Clinton, invece, le cose cambierebbero: perché, come ha spiegato Bash, «lei vede l'importanza della leadership americana come il primo principio». Secondo la candidata democratica, in pratica, «i problemi in giro per il mondo possono essere risolti facilmente quando l'America è coinvolta nei singoli focolai di crisi». Più chiaro di così.
Il reset (in extremis) di Obama
A quel punto, il presidente Obama - attualmente impegnato, tra le altre cose, a fare campagna per il suo ex segretario di Stato -, punzecchiato dal consigliere della candidata, sembra aver nuovamente cambiato idea. Così, ha subito avvertito Mosca che rischia uno schiaffo dalla comunità internazionale se continuerà a fare fronte comune con il regime siriano: sarebbe indicata come un «attore irresponsabile» sulla scena mondiale. E ha detto di non essere «fiducioso che ci si possa fidare dei russi o di Vladimir Putin». Un cambio di bandiera piuttosto repentino, considerando che, fino a qualche ora prima, l'accordo di cooperazione con i russi in Siria sembrava un dato di fatto. Ma proprio perché, secondo l'attuale inquilino della Casa Bianca, dei russi non ci si può fidare, «dobbiamo valutare se possiamo o meno arrivare a una cessazione delle ostilità».
L'attacco a Trump
Chiarita la sua posizione, «miracolosamente» riallineatasi a quella della Clinton, Obama è quindi passato all'attacco di Donald Trump. la cui strategia - ha detto - si rivelerà un boomerang nelle mani dell'Isis. L'entusiastica fermezza dimostrata da Trump nel dichiarare di voler bombardare Daesh, unita alle sue uscite contro i musulmani e l'Islam in generale, secondo il Presidente finiranno per ritorcersi contro l'America. La guerra al terrorismo - ha spiegato Obama - non è infatti una guerra combattuta con le armi tradizionali, ma giocata sul piano della paura. Una paura che - cadendo nel tranello dei terroristi - può finire per minare le fondamenta democratiche delle nostre società.
Dubbi
Una valutazione che potrebbe essere anche a suo modo lucida, se non fosse che omette un punto fondamentale: in che modo la strategia di Hillary Clinton - saldamente decisa a perseguire con tutti i mezzi la destabilizzazione del regime siriano prima di ogni altra cosa - può essere definita più «saggia» di quella di Donald Trump? E in che modo, rompendo la cooperazione con Mosca e allontanandosi dalla prospettiva della cessazione delle ostilità, sarà più semplice sconfiggere il terrorismo? Siamo certi che una politica di nuovo fortemente interventista, di quel prepotente «interventismo umanitario» che impone al mondo intero una visione americanocentrica del pianeta (ci siamo già passati), sia l'arma giusta per sconfiggere il terrore?
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