Strage di Orlando, quello che i media non dicono su Omar Mateen. Per esempio, cosa c'entra Israele?
Nonostante le versioni semplicistiche veicolate dai media mainstream, c'è molto di più da sapere sul killer di Orlando. Innanzitutto, per quale (controversa) multinazionale lavorava
ORLANDO – «Il più grande attentato negli Stati Uniti dall’11 settembre ad oggi»: così i media di tutto il mondo hanno definito la terribile sparatoria perpetrata dal 29enne Omar Mateen in un locale per omosessuali ad Orlando, in Florida. Una notizia che ha tenuto banco per giorni sulle prime pagine dei giornali internazionali, che si sono interrogati sulla vera natura della tragedia, sull’attrazione che l’Isis può esercitare sui cosiddetti «lupi solitari», sulle motivazioni legate al terrorismo – oltre a quelle più personali – che possono aver guidato la folle mano di Mateen. Peccato che nessuno (o quasi) abbia fatto molta attenzione all’attività svolta dal 29enne. Un «dettaglio» che invece potrebbe rivelarsi particolarmente significativo.
Agente di sicurezza per la G4S
Mateen lavorava infatti come agente di sicurezza per una multinazionale britannica, la G4S, leader nel campo, appunto, della «security». Un elemento importante non soltanto perché è quasi paradossale che una persona indagata per ben due volte dall'FBI per sospette tendenze jihadiste non solo sia libera di maneggiare armi, ma addirittura lavori per una multinazionale che ha come mission quella di garantire la «sicurezza».
La G4S e i suoi rapporti con Israele
A colpire, in effetti, è la controversa (a dir poco) storia della stessa G4S. Ben noti sono, innanzitutto, i rapporti dell’azienda con lo stato d’Israele, a cui fornisce equipaggiamenti per le prigioni in cui sono detenuti i prigionieri politici palestinesi. Non molto tempo fa, la campagna internazionale di boicottaggio delle merci israeliane BDS aveva denunciato il contratto che lega la G4S con il governo israeliano per fornire materiale e servizi ai posti di blocco del muro. Non solo: il 3 giugno scorso, l’organizzazione Judicial Watch ha accusato la G4S di fare uno strano lavoro per il Dipartimento della Homeland Security, e cioè di introdurre a Phoenix, dal Messico, immigrati illegali non messicani, ovviamente bypassando tutti i controlli di sicurezza del caso.
Responsabile della sicurezza degli aeroporti dell'11 settembre
Ma non basta: perché, andando indietro all’11 settembre 2001, in occasione dell’attentato alle Torri Gemelli ritroviamo ancora tracce della multinazionale. Allora si chiamava Securicor, e con questo nome gestiva la sicurezza di due dei tre aeroporti da cui partirono i dirottatori. E l’altra ditta che vegliava sulla sicurezza degli aeroporti europei era l’israeliana ICTS, che si fece sfuggire a Charles De Gaulle il «terrorista con la bomba nella scarpa», e allo Skyphol di Amsterdam, il Natale 2009, il «terrorista con l’esplosivo nelle mutande». A completare il profilo della G4S, basti sapere che gestisce anche il carcere di Guantanamo, dove sono detenuti numerosi presunti «terroristi islamici» con un contratto con il governo americano che ha fruttato 135 milioni di dollari.
Déja-vu
E non è nemmeno la prima volta che lavoratori della G4S vengano implicati in questioni di sicurezza nazionale. Nel 2012, ci fu il caso del dipendente che minacciò, con un messaggio, attentati alle Olimpiadi di Londra; nel 2013 un altro dipendente fu accusato di aver introdotto una bomba all’interno dell’ambasciata Usa a Londra, e infine lo scorso maggio un ex dipendente della G4S diffuse un falso allarme bomba alla partita del Manchester United.
Il ruolo di Rita Katz
Per avere il quadro completo della situazione, bisogna aggiungere che l’iniziale collegamento tra Mateen e l’Isis – con il giuramento al 911 e i selfie pubblicati dall’aspirante jihadista – è stato diffuso e certificato da Rita Katz, direttrice e co-fondatrice del Site, principale sito di monitoraggio Usa dei jihadisti sul web. Ma chi è la Katz? Araba di famiglia ebraica, sionista convinta, nota per essersi improvvisata «spia infiltrata» in Hamas travestendosi da donna musulmana, in passato ha diffuso comunicazioni che avrebbero anticipato imminenti attacchi kamikaze. Nel 2011 ha anche tradotto la lunga dichiarazione redatta dal Comando generale di al Qaeda a conferma del decesso di Osama bin Laden, e talvolta riesce pure a condizionare i servizi di intelligence internazionali. Ad oggi, la Katz continua a scovare i suoi video – tra cui quelli dello Stato islamico – in chat jihadiste, e li diffonde con il logo di Site.
Poche certezze, troppe ombre
Un curriculum che non convince tutti: chi assicura – ci si chiede infatti – che una società privata, con risorse limitate, possa condurre un’attività tanto delicata più efficacemente delle agenzie governative? Non solo: c’è chi la sospetta di fabbricare accuse di jihadismo ad hoc contro i musulmani a favore dell’FBI. Comunque la si pensi, di certo il monopolio di Site sui video del terrore può apparire quantomeno controverso. E il suo marchio sui materiali diffusi a proposito di Mateen non fa che complicare uno scenario dove le certezze sono ben poche – nonostante le versioni semplicistiche veicolate dai media mainstream –, e le ombre sono ancora numerose.