22 aprile 2025
Aggiornato 05:30
Lancio a ridosso del capodanno lunare, la festa più importante

Se il missile della Corea del Nord è uno schiaffo per la Cina

Alla fin fine la capitale più imbarazzata per la decisione della Corea del Nord di lanciare ieri un razzo in orbita, in quello che gli alleati degli Usa ritengono essere il test dissimulato di un missile balistico, è Pechino

PYONGYANG - Alla fin fine la capitale più imbarazzata per la decisione della Corea del Nord di lanciare ieri un razzo in orbita, in quello che gli alleati degli Usa ritengono essere il test dissimulato di un missile balistico, è Pechino. La Cina aveva tentato, usando l'arma diplomatica, di sconsigliare a Kim Jong Un di procedere e questi, per tutta risposta, è andato avanti per la sua strada non curandosi dell'opinione del fratello maggiore comunista.

Data significativa
Anche la data scelta per il lancio è significativa. Molti avrebbero scommesso che il pulsante sarebbe stato premuto il 16 febbraio, data del compleanno del defunto leader Kim Jong Il, padre di Jong Un. Invece Pyongyang ha scelto di effettuare il test in concomitanza con il Superbowl negli Stati uniti, ma anche alla vigilia del Capodanno lunare cinese, la principale festa per il mondo sinico, per massimizzare l'esposizione mediatica.

Umiliazione
Inoltre, ha sottolineato oggi il New York Times, ha proceduto col lancio subito dopo che un alto diplomatico cinese, Wu Dawei, ha lasciato la Corea del Nord, dove si era recato probabilmente proprio per dissuadere il leader nordcoreano. «E' un pessimo risultato, è un'umiliazione», ha commentato al Nyt Cheng Xiaohe, un docente di relazioni internazionali presso la Renmin University. «Io penso - ha continuato - che Kim Jong Un abbia fatto molti errori e che questo sia uno dei suoi errori più grandi». A sottolinearlo la decisione di ieri del Consiglio di sicurezza dell'Onu, del quale Pechino è membro con diritto di veto, che ha adottato all'unanimità una risoluzione di ferma condanna, annunciando che seguirà un'ulteriore risoluzione con sanzioni.

La difficile posizione della Cina
Tuttavia per Pechino la situazione non è semplice. Pechino resta uno dei pochi alleati di Pyongyang e, sostanzialmente, il partner che mantiene in piedi l'economia nordcoreana. Ma, a sua volta, non se la sente affatto di dare la spallata finale alla Corea del Nord. «E' difficile dire quale approccio diverso la Cina potrebbe scegliere», ha sottolineato Cheng. La Cina confina con la Corea del Nord e sono milioni i nordcoreani che, nel caso di crollo del regime dei Kim, potrebbero fuggire verso la Repubblica popolare creando una crisi umanitaria di alto livello. Inoltre, Pechino - in caso di riunificazione delle due Coree - potrebbe ritrovarsi al confine un nuovo, potente concorrente regionale, oltre al Giappone. Infine, non va dimenticato che la Corea del Sud è alleata degli Stati uniti e ospita circa 35mila soldati americani: il cuscinetto fornito dalla permanenza della Corea del Nord è strategicamente importante per Pechino. Insomma, la Cina ha le mani abbastanza legate. In tal senso va letta la tendenza a ridimensionare l'importanza del lancio emersa da Pechino. «Pyongyang ha fatto progressi nella tecnologia dei razzi a lungo raggio e in quella missilistica, ma è ben lontana dal poter gestire un sistema missilistico a lungo raggio maturo e costruire una deterrenza strategica», spiegava ieri in un articolo il Global Times, una delle voci del Partito comunista cinese. Gli Stati uniti e i loro alleati temono che Pyongyang possa sviluppare la tecnologia per miniaturizzare ordigni nucleari, montarle su testate di missili a lungo raggio e, così, arrivare a minacciare persino il territorio americano. Cioè - scrive il Global Times - seguire lo stesso percorso che ha portato la Cina negli anni '60 del secolo scorso a sviluppare un proprio potere di deterrenza. Questa preoccupazione è ancor più forte alla luce dell'ultimo test nucleare del 6 gennaio, che Pyongyang sostiene essere stato con una bomba all'idrogeno. Circostanza quest'ultima sulla quale gli osservatori internazionali sono piuttosto scettici.

La Cina minimizza
Pechino, dal canto suo, minimizza. «I missili a lungo raggio hanno bisogno di un possente sistema di supporto, per esempio della capacità di misura dell'assetto di volo, dell'accuratezza dell'orbita e della localizzazione del bersaglio, e Pyongyang non ha nulla di questo», si legge ancora su Global Times. Sul fronte dei test nucleari, inoltre, la Cina negli anni '60 operava in "un diverso contesto rispetto alla Corea del Nord oggi». Per esempio, non c'era il "Trattato di non proliferazione nucleare». Inoltre, «la Cina ha un territorio vasto e siti nucleari nel deserto, lo spazio limitato della Corea del Nord li rende impossibili». Questa tendenza a ridimensionare sembra, soprattutto, dovuta all'imbarazzo di Pechino che non riesce a limitare i colpi di testa dell'indisciplinato vicino. Il presidente cinese Xi Jinping, notoriamente, non ama particolarmente Kim Jong Un e non si è ancora mai recato a Pyongyang da leader della seconda potenza mondiale. In questo è corrisposto dal giovane figlio di Kim Jong Il, il quale ha visitato Mosca, ma si è guardato bene dall'andare a Pechino. Inoltre, Pyongyang non gode di buona stampa nell'opinione pubblica cinese. Il Nyt racconta che un sondaggio condotto da Sina Weibo - il Twitter cinese - ha visto la risposta di 8mila internauti, che per i due terzi erano favorevoli a un attacco Usa per distruggere il programma nucleare nordcoreano, solo il 18 per cento contrario.

Il ruolo degli USA
A questo va aggiunto il fatto che le mosse di Pyongyang finiscono per rafforzare la presenza degli Stati uniti, che rappresenta il principale ostacolo alle velleità cinesi nel Mar cinese meridionale. Per esempio, Washington e Seoul ieri hanno raggiunto un accordo per l'avvio di negoziati volti all'estensione sulla Penisola del sistema antimissilistico Usa denominato Terminal High Attitude Area Defense (Thaad), per il quale - secondo quanto riporta l'agenzia di stampa Xinhua - il ministero degli Esteri cinese ha espresso «profonda inquietudine» perché «nel perseguire la propria sicurezza un paese non dovrebbe danneggiare gli interessi di sicurezza di un altro». Un messaggio che, in fondo, potrebbe andar bene anche per la Corea del Nord.

(Con fonte Askanews)