25 aprile 2024
Aggiornato 12:30
C'è giustizia e sicurezza per gli afroamericani negli States?

È stata la paura a muovere la mano della madre di Baltimora

Ha fatto il giro del mondo il video della donna di Baltimora che ha trascinato il figlio via dalle proteste, mentre volavano sassi sulla polizia. Toya Graham è divenuta simbolo della madre che non vuole che il figlio si arrenda alla violenza, ma anche della donna afroamericana terrorizzata dall'idea che il suo ragazzo possa fare la fine di Freddie Gray e dei tanti che l'hanno preceduto.

BALTIMORA - E’ diventato virale il video che mostra la madre di un ragazzo afroamericano trascinare in malo modo il figlio via dalle proteste scatenatesi a Baltimora, mentre i sassi volavano sulla polizia. Altrettanto scalpore ha fatto l’intervista alla Stampa del ragazzino stesso, che ha dichiarato, fuori dai denti: «Avrei preferito che non mi gonfiasse di botte in diretta televisiva nazionale: immagina adesso come mi trattano i compagni di scuola. Ma è sempre mia mamma e aveva le sue ragioni per menarmi, così come io avevo le mie per protestare».

La madre di Baltimora divenuta una «star»
Le ragioni della madre, Toya Graham, sono balzate agli occhi di tutti, e hanno raccolto immediatamente il consenso di personaggi noti e meno noti. Quella donna è divenuta  il simbolo della madre che impedisce al figlio di rispondere alla violenza con la violenza (anche se lei stessa non si è poi risparmiata qualche «scappellotto» di troppo), ma anche la testimonianza della paura in cui ogni giorno vivono moltissimi afroamericani delle periferie statunitensi. Già, perché Freddie Gray, il ragazzo afroamericano morto durante un arresto, non è il primo giovane di colore a finire esanime a seguito di un «contatto» con la polizia. E non è stato nemmeno l’ultimo, visto che, proprio mentre andavano in scena i funerali di Freddie prima e le proteste poi, a Detroit un altro 20enne afroamericano veniva ucciso nell'appartamento del padre, dove la polizia era andata per arrestarlo. Secondo la ricostruzione della polizia, Terrance Kellom, ricercato per aver violato la libertà vigilata, avrebbe affrontato con un martello il poliziotto, che a quel punto avrebbe reagito sparando diversi colpi. Il padre, che aveva fatto entrare gli agenti in casa, però, ha fornito una versione diversa: «Mio figlio non era armato, non capisco perché sia stato ucciso. Mio figlio non lo meritava».

Gli eccessi della polizia: tra i 500 e i 1000 uccisi ogni anno
Secondo il ragazzino trascinato via dalla «mamma coraggio» di Baltimora, per gli afroamericani negli States «non c'è giustizia. La polizia pensa che tutti i ragazzi siano spacciatori e li arresta o li mena senza motivo. E' capitato a decine di amici miei. E poi non c'è lavoro, non ci sono opportunità. Così finiamo tutti in mezzo alla strada». Episodi che spingono a chiedersi se, nonostante le battaglie decennali e la circostanza rivoluzionaria per cui l’inquilino della Casa Bianca sia scuro di carnagione, negli Usa il problema del razzismo sia stato davvero superato. Secondo uno studio del Washington Post, ogni anno tra 500 e 1.000 americani vengono uccisi dalla polizia, includendo i casi legittimi e non. Le forze dell’ordine respingono le accuse, ma, il Cato Institute calcola che, tra il 2009 e il 2010, di circa 8.300 accuse di abusi, 3.200 hanno portato a incriminazioni formali e solo 1.000, una su otto, sono state effettivamente punite in qualche forma.

A Ferguson, la polizia violò ripetutamente i diritti costituzionali degli afroamericani
Non basta: la polizia avrebbe ripetutamente violato i diritti costituzionali degli afroamericani. Lo sostiene il rapporto del Dipartimento di giustizia americano pubblicato il 4 marzo a seguito dell’indagine aperta sull’omicidio del giovane afroamericano Michael Brown a Ferguson, in Missouri, il 9 agosto 2014. Nelle sue 102 pagine, si descrive l’operato dei 72 poliziotti che operarono a Ferguson, i metodi violenti e illegali usati dagli agenti durante tutte le manifestazioni che seguirono l’omicidio Brown, in particolare nei confronti dei neri. Alla base di tutte le violazioni degli agenti, il razzismo. Si parla della creazione di un vero e proprio sistema per estorcere denaro agli afromaericani. Tantissimi gli arresti per piccole infrazioni, come quelle su infrazioni stradali nel parcheggiare la macchina, con lo scopo ben preciso di costringere le persone a pagare una cauzione per uscire dal carcere. Pur rappresentando il 67% della popolazione di Ferguson, gli afroamericani fermati alla guida di auto dalla polizia sono l’85%. Quelli arrestati per piccole infrazioni al volante, il 93%. Non basta: tra gli agenti, le mail razziste sarebbero la norma.

Un agente bianco ha ucciso un nero due volte a settimana tra il 2005 e il 2012
Non solo Ferguson, e non solo Baltimora. Secondo un recente studio dell’Fbi, tra il 2005 e il 2012 un agente bianco ha ucciso una persona nera in media due volte a settimana. E se si guarda la composizione della popolazione carceraria Usa si avrà il quadro completo: metà dei detenuti sono afro-americani. Se il tasso d’incarcerazione per i bianchi è di 393 per 100.000, per i neri è 2.531. Se poi si considerano solo i maschi, il tasso per i bianchi sale a 717, mentre per i neri arriva a 4.919, ma in molti Stati supera abbondantemente quota 10.000. Un terzo dei ventenni di colore è in prigione o in libertà vigilata e per i giovani neri passare un certo periodo di tempo in prigione è diventato un «rito di passaggio». Secondo il Pew Center, un centro di ricerca bipartisan americano, negli Usa un cittadino latino-americano ha 3 volte più possibilità di essere arrestato rispetto a un bianco. Con gli afro-americani le possibilità passano a 6 a 1, raddoppiando di fatto. Questo è il quadro nel quale cui interpretare il gesto di quella madre. Che sì, avrà voluto certamente insegnare al proprio figlio (seppur, paradossalmente, in maniera un po' manesca) che la violenza non è mai giustificata, neppure quando scaturisce dall’esasperazione. Ma la mano di quella madre, probabilmente, sarà stata guidata prima di ogni altra cosa dalla paura. La paura che suo figlio possa finire, un giorno, in quella tragica lista dove sono iscritti in nomi di Michael Brown, di Freddie Grey, di chi li ha preceduti e chi li seguirà.