Libia, l'Isis è davvero così forte?
Nonostante un impatto mediatico molto forte, in realtà i numeri smentiscono la radicalizzazione dei nuovi jihadisti sul territorio libico. L'Italia cosa farà?
TRIPOLI - L'Egitto tira fuori i denti e chiede l'intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro lo Stato islamico. Il presidente egiziano Sisi ha già incassato il sostegno di Putin, anche se è plausibile che il capo del Cremlino non voglia sporcarsi troppo le mani. L'Italia, almeno a detta del ministro Gentiloni, sarebbe pronta a guidare un'eventuale coalizione internazionale in Libia, sotto l'egida dell'Onu, ma il premier Renzi l'ha subito stoppato: meglio evitare un intervento armato. Anche la Francia, che aveva guidato l’intervento militare del 2011, si mostra più cauta rispetto alle intenzioni iniziali.
IMPATTO MEDIATICO FORTISSIMO, MA I NUMERI DICONO UN'ALTRA COSA - Ma l'Isis è davvero così forte in Libia in questo momento? In realtà no. Mediaticamente, e potenzialmente, le azioni dei nuovi jihadisti sono estremamente efficaci, e di grande impatto. Ma la loro presenza, pur in crescita, resta numericamente poco rilevante. «Non bisogna confondere le forze islamiche di vario tipo con l'Isis – spiegano gli esperti dell'Ispi –. Nel settembre scorso, a Derna, un primo nucleo di combattenti di ritorno da Siria e Iraq che costituivano la brigata al-Battar, circa 300 uomini, si è fuso con un gruppo di giovani jihadisti locali (Youth Shura Council) creando una enclave del Califfato in Libia. Al-Baghdadi ha inviato degli emissari che potessero fornire una visione strategica all’azione del gruppo, da qui una prima espansione nella zona di Sirte. Piccoli nuclei in giro per il Paese si sono attivati dichiarandosi fedeli al Califfato, tuttavia il numero complessivo potrebbe essere di poco superiore al migliaio». Ci sono poi altri gruppi islamico-radicali numericamente più importanti e in lotta con le forze del generale Haftar a Bengasi che si mantengono autonomi rispetto al Califfato.
"ALTISSIMI RISCHI SE L'ITALIA INTERVIENE" - «La Libia – precisa Arturo Varvelli dell'Ispi – è oggi un Paese diviso in due. Da una parte le milizie islamiste, legate alla Fratellanza musulmana, controllano la maggior parte della Tripolitania e dell’ovest. Dall’altra, le forze del generale Haftar mantengono le loro posizioni in diverse zone dell’est e assediano da settimane la città di Bengasi. A contribuire all’instabilità libica si aggiunge la penetrazione di milizie jihadiste, che in alcune zone della Cirenaica si sono legate all’Isis». L'intervento di attori regionali nel contesto libico è uno dei fattori principali nella polarizzazione tra i due fronti. In questo contesto di caos totale, la posizione dell’Italia si basa «sull’interesse a una mediazione tra i diversi gruppi e un accordo politico tra le parti come precondizione per una eventuale azione di peacekeeping, che avrebbe comunque degli altissimi rischi e andrebbe ponderata in tutte le sue conseguenze regionali».
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