Iraq, strage dopo il ritiro Usa. Gli insorti fanno 52 morti
Ondata di attentati mentre permane il vuoto di potere a Baghdad. Almeno 14 automobili imbottite di esplosivo sono saltate in aria
BAGHDAD - A pochi giorni dal ritiro dell'ultima brigata da combattimento Usa, che di fatto ha posto fine alla guerra iniziata sette anni fa, non si placano le violenze in Iraq, dove gli insorti hanno fornito oggi una nuova dimostrazione di forza. Almeno 14 automobili imbottite di esplosivo sono saltate in aria provocando la morte di 52 persone. Tra le vittime anche numerosi agenti di polizia che, assieme alle reclute del nuovo esercito iracheno, rappresentano l'obiettivo privilegiato degli attentati di queste ultime settimane.
Gli attacchi odierni giungono all'indomani dell'annuncio da parte dell'esercito americano, della riduzione del proprio contingente nel paese mediorientale a meno di 50.000 unità. Conformemente alla strategia sul ritiro graduale presentata poco dopo il suo arrivo alla Casa Bianca, all'inizio del 2009, il presidente americano Barack Obama annuncerà ufficialmente martedì prossimo la fine della missione di combattimento in Iraq. Dal primo giorno del prossimo settembre, i soldati statunitensi dovranno dedicarsi esclusivamente alla formazione delle forze di sicurezza irachene, la cui capacità di lottare contro insorti ancora bene armati e organizzati continua a suscitare grande preoccupazione.
Non è un caso che appena due settimane fa il capo di stato maggiore iracheno, il generale Babaker Zebari, abbia espresso il desiderio di potere essere affiancato dalle truppe americane almeno fino al 2020, data prima della quale - a suo dire - le truppe di Baghdad non saranno pronte ad operare in piena autonomia e capaci a garantire la sicurezza necessaria allo sviluppo del paese. Una considerazione non condivisa dal capo delle forze Usa in Iraq, il generale Ray Odierno, ma comune a una grande maggioranza di iracheni che giudica inopportuno l'attuale ritiro americano. Tanto più che dalle elezioni del 7 marzo scorso, le autorità di Baghdad non sono ancora riuscite a formare un governo capace di garantire stabilità e progresso al paese.
Il ministro degli Esteri Hoshyar Zebari ha spiegato che proprio questa situazione di stallo, assieme al ritiro dei militari statunitensi, ha creato le condizioni ideali per gli attacchi degli insorti. «Assistiamo a una paralisi governativa, a un vuoto politico. E c'è stato il ritiro Usa...», ha commentato. «In queste condizioni i network terroristici possono proliferare e creare divisioni tra i politici, al fine di provocare il maggior caos possibile».
Ed è proprio in questa situazione di grande incertezza decisionale ed operativa che, ancora oggi, hanno agito gli insorti. Gli attacchi più gravi sono avvenuti a Kout, a 160 chilometri a sudest di Baghdad, dove sono rimaste uccisi 15 agenti e 5 civili in un ufficio passaporti della polizia. Altre 90 sono rimaste ferite. Nella capitale, invece, un'autobomba è esplosa verso le 8 ora locale, le 7 in Italia, presso un posto di polizia nel quartiere di al-Qahira (nord), facendo 15 morti, tra cui otto poliziotti.
Altre autobombe sono esplose nella città petrolifera di Kirkuk (240 chilometri a nord di Baghdad), a Bassora, nel sud, a Karbala (la città santa sciita a 110 chilometri a sud della capitale), a Dujail (60 km a nord di Baghdad) e a Muqdadiya, nella turbolenta provincia di Diyala. «Il messaggio che gli insorti vogliono inviare al popolo iracheno è questo: 'noi esistiamo e scegliamo il momento e il luogo'», ha spiegato Wael Abdel-Latif, giudice ed ex deputato. «Stanno portando a compimento questi attacchi mentre gli americani sono ancora nel nostro paese. Così lasciano immaginare cosa potranno fare quando se ne saranno andati tutti», ha commentato.