92mila euro di debito a famiglia. E c'è chi pensa di aggredirlo «valorizzando» gli immobili dello Stato (dandoli a Cdp)
Il debito pubblico del Belpaese tocca cifre mai viste. Che fare? Rilanciare il settore delle costruzioni dando tutto in mano a Cassa Depositi e Prestiti?

ROMA - 2327,4 miliardi: un nuovo massimo storico. Il debito pubblico del Belpaese tocca cifre mai viste secondo i dati contenuti nel supplemento statistico di Bankitalia. Rispetto ad aprile il debito è aumentato di 14,6 miliardi. Stando ai numeri, l’incremento è dovuto al fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (7,6 miliardi) e all’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (5,4 miliardi, a 57,6; erano 58,9 a maggio 2017). L’effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio ha aumentato il debito di 1,5 miliardi. Con riferimento alla ripartizione per sottosettori, il debito delle amministrazioni centrali è aumentato di 14,9 miliardi e quello delle amministrazioni locali è diminuito di 0,3 miliardi. Il debito degli enti di previdenza è rimasto pressochè invariato.
Record
Il debito pubblico è in costante crescita dal mese di dicembre e tra maggio del 2017 e il maggio scorso è salito di 48 miliardi di euro. «In pratica è come se ogni famiglia avesse un debito di circa 92 mila euro», afferma Massimiliano Dona, presidente dell'Unione Nazionale Consumatori. A maggio, attesta via Nazionale, le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state di 33,6 miliardi, stabili rispetto allo stesso mese del 2017. Nei primi cinque mesi del 2018 le entrate tributarie sono state pari a 155,2 miliardi, in lieve aumento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
«Valorizzare» gli immobili dello Stato e rilanciare le costruzioni
Come fare, dunque, per arrestare questa emorragia che dissangua le casse pubbliche? Secondo alcuni analisti il debito pubblico si può aggredire valorizzando gli immobili dello Stato e rilanciando le costruzioni. In particolare, a sostenerlo in un report sono due esperti della società di servizi Long Term Partner, Edoardo Maria Toscani e Alberto Regazzo, convinti della possibilità di combinare la riduzione del debito con l'iniezione di stimoli a sostegno degli investimenti, in particolare per rivitalizzare il settore delle costruzioni, che ha perso 600mila posti di lavoro dall’inizio della crisi finanziaria. Come? Facendo leva sull’enorme patrimonio pubblico di proprietà del governo centrale e degli enti locali, che, dicono, potrebbe essere valorizzato generando risorse in termini di investimenti e di crescita del Pil, redditi futuri e opportunità per privatizzazioni, e dunque riduzione del debito.
Riqualificazione: sì, ma chi ci mette i soldi?
Questo patrimonio, in gran parte obsoleto o addirittura non utilizzato, «ben si presterebbe ad interventi di riqualificazione, o reimpiego con finalità più adatte alle nuove esigenze ed opportunità di utilizzo degli spazi» scrivono, per finalità commerciali, turistiche, culturali, ricettive o abitative, producendo secondo loro occupazione e accelerazione della diffusione di nuove tecnologie, come fibra ottica e connettività, smart city, riduzione dei consumi di energia e delle emissioni, generazione diffusa, sviluppo di una infrastruttura per l’alimentazione auto elettriche, ecc.
A capo niente meno che Cassa Depositi e Prestiti e Mef
Chi guiderebbe il timone? Ma certo, la Cdp. «Un ruolo di regia e sostegno» potrebbe essere svolto dalla Cassa Depositi e Prestiti, «che potrebbe operare come un fondo sovrano», e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, «per fornire un coordinamento autorevole e adatto ad attrarre investitori internazionali ed infrastrutturali in veicoli dedicati allo sviluppo di grandi progetti di valorizzazione e/o di trasformazione urbana, senza quindi pesare sul bilancio pubblico, ma – anzi – contribuendo alla raccolta delle risorse finanziarie sul mercato di capitali di competenze manageriali per valorizzare immobili e aree, modernizzando gli asset ed il territorio e senza aumentare il consumo di suolo».
E l'occupazione si impenna...
Secondo i due analisti la ricaduta per l’economia potrebbe essere ingente: al recupero del terreno perso in termini di contribuzione al PIL (recuperare decine di miliardi all’anno di investimenti diretti nel settore) «si potrebbero aggiungere i contributi di tutti i settori contigui, valorizzando la creatività e le tecnologie del paese (industria del legno e del mobile, dei materiali edili, del riscaldamento e climatizzazione, elettrica ed elettrotecnica, ma anche telecomunicazioni, distribuzione di energia, domotica e sicurezza, e molti altri)». Si creerebbe quindi «occupazione anche per fasce della popolazione con basse competenze tecniche, facilitando l’integrazione degli immigrati, quali cittadini, contribuenti, consumatori e partecipanti al sostegno del sistema pensionistico di una nazione dove i nativi sono ormai a crescita zero, ovvero demograficamente in declino».
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