Riforma Madia, cosa cambia per i dirigenti pubblici e perché potrebbe ingabbiare gli italiani
La commissione di valutazione per i dirigenti pubblici prevede solo sette membri, ma non è l'unica novità introdotta dalla riforma Madia. Ecco perché potrebbe essere a rischio uno dei principi più importanti della Carta Costituzionale
ROMA – La riforma Madia fa tremare oltre 30mila dirigenti pubblici. Il decreto è finalmente arrivato, ma il testo non è ancora definitivo perché deve passare l'esame del Parlamento e del Consiglio di Stato. Nell'attesa che venga approvato, però, è lecito chiedersi se questa attesissima riforma della dirigenza pubblica risponda davvero al nobile obiettivo per il quale è stata partorita: performare e innovare un settore rimasto legato per troppo tempo a logiche arcaiche. O se piuttosto, come sostengono taluni, a quello di introdurre una malcelata forma di spoils system all'italiana.
Cosa prevede la riforma Madia
Le novità introdotte dalla riforma Madia sono diverse e si prefiggono di migliorare le performance della dirigenza pubblica. Innanzitutto i dirigenti pubblici dovranno superare un corso o concorso annuale che renderà possibile l'iscrizione al nuovo «albo» e quindi la partecipazione ai bandi della pubblica amministrazione. I dirigenti e gli aspiranti funzionari verranno inoltre divisi in tre macro-categorie: statali, regionali e comunali. Ma il cuore pulsante della riforma è il meccanismo di valutazione degli stessi, che secondo taluni presenta«troppe falle per poter funzionare davvero».
E' a rischio l'autonomia amministrativa
Secondo Luigi Olivieri, che nei giorni scorsi ha pubblicato un articolo su Lavoce.info, infatti, la procedura comparativa sui curricula dei dirigenti pubblici è il tallone d'Achille dell'intera riforma. Il decreto legislativo prevede che i componenti delle commissioni che cureranno le selezioni siano tutti di matrice governativa. In questo modo verrebbe meno il rispetto del criterio dell'autonomia amministrativa sancito dalla Costituzione. L'articolo 98 della Carta, infatti, sancisce il principio fondamentale secondo il quale i dirigenti pubblici sono al servizio della popolazione, non degli esponenti politici di turno in Parlamento.
Solo sette membri in commissione
Inoltre, sempre secondo Olivieri, sette componenti sarebbero insufficienti per realizzare un accurato lavoro di selezione, considerando che dovranno occuparsi delle procedure comparative relative a ben 36mila dirigenti pubblici. Soprattutto in ragione del fatto che la stessa riforma prevede un mandato per la dirigenza pubblica di soli quattro anni: significa che i componenti della commissione saranno sommersi ogni anno da centinaia o migliaia di procedure comparative alle quali potrebbero partecipare centinaia di candidature alla volta. Conti alla mano, una commissione costituita da soli sette membri ci sembra davvero inadeguata per gestire una simile mole di lavoro.
Valutazione o spoils system?
Anche per questa ragione, si potrebbe avere la sensazione che la riforma Madia introduca una malcelata forma di spoils system mascherata da procedura di selezione. Secondo Luigi Olivieri «sembra che il tutto sia stato pensato appositamente per rendere la procedura comparativa solo un velo: una fase obbligatoria nella quale poche persone, in modo distratto e incompleto, dovranno selezionare alcuni curriculum, per poi dare l’elenco agli organi politici che avranno libero arbitrio di scegliervi chi credono».
Il limbo dei funzionari pubblici
La durata del mandato della dirigenza pubblica garantirà proprio ai politici di turno la possibilità di ricorrere a un giro di poltrone da realizzarsi al momento opportuno. Si scrive valutazione, si legge spoils system. Ma non finisce qui. La riforma Madia presenta anche un'altra criticità rilevante, che potrebbe determinare l'aumento dei contenziosi. Come sottolinea Fiorina Capozzi su Il Fatto Quotidiano, i funzionari pubblici che – sebbene entrati nel ruolo – non riusciranno a collocarsi, finiranno in una sorta di limbo e avranno diritto alla sola retribuzione di base (che equivale a una percentuale dello stipendio che può variare dal 30% al 60%).
Una valanga di contenziosi
E nel caso in cui costoro non riuscissero a ricollocarsi per sei anni di fila, i dirigenti saranno costretti ad accettare un demansionamento per restare nell'apparato della pubblica amministrazione. Proprio questa novità dovrebbe garantire una significativa riduzione delle spese amministrative e migliorare l'efficienza della macchina pubblica. Ma non è detto che riesca a perseguire l'obiettivo. E' più facile immaginare che possa dare inizio a una valanga di contenziosi. Insomma, la riforma Madia non manca di criticità e difficilmente riuscirà a migliorare davvero le performance della dirigenza pubblica.