Fiat, i tre operai entrano ed escono. E la Fiom denuncia il gruppo torinese
I tre lavoratori licenziati (e poi reintegrati) per l'azienda possono solo fare i sindacalisti. La Fiom proclama due ore di sciopero
MELFI - I tre operai licenziati dalla Fiat sono usciti dallo stabilimento, perché l'azienda, pur avendoli fatti entrare nella fabbrica, non gli ha dato il permesso di lavorare. «Ci volevano relegare in una stanzetta predisposta all'attività sindacale - hanno detto le tre tute blu - non dando piena attuazione alla sentenza del giudice del lavoro che aveva predisposto il nostro totale reintegro».
«La Fiat - ha detto il legale degli operai, l'avvocato Lina Gruosso - continua a mantenere un atteggiamento antisindacale. Il provvedimento emesso dal giudice - ha aggiunto Gruosso - prevedeva il reintegro totale dei lavoratori negli stessi ruoli e nelle medesime postazioni che avevano prima della sospensione. Continueremo - ha concluso - a portare avanti la nostra battaglia anche in sede legale».
APPELLO A NAPOLITANO - «Lancio un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: non ci faccia vergognare di essere italiani»: lo ha detto ai giornalisti Giovanni Barozzino appena uscito dalla fabbrica e parlando anche a nome dei suoi altri due colleghi licenziati e poi reintegrati. «Vogliamo solo il nostro lavoro, come ha deciso il giudice», ha aggiunto Barozzino parlando ai cronisti. «Non vogliamo essere confinati in una saletta sindacale - ha aggiunto - che è distante centinaia di metri dalla fabbrica dove lavorano i nostri colleghi. Dalla saletta - ha concluso Barozzino - non potremmo parlare con nessuno. Per rivendicare i nostri diritti siamo disposti a venire in fabbrica ogni giorno».
FIOM - La Fiom intanto ha proclamato due ore di sciopero, dalle ore 14 alle 16, e ha chiesto anch'essa l'intervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e «di tutte le istituzioni democratiche». Lo stop è la risposta alla decisione aziendale di vietare l’accesso in fabbrica ai tre lavoratori licenziati e reintegrati dal giudice del lavoro. Gli operai della Fiom protestano perché vogliono essere informati sul futuro lavorativo dei tre colleghi licenziati dall’azienda. Una cinquantina di tute blu non sono entrate nella fabbrica, ma la linea di produzione non ha subito interruzioni. Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil chiede a Napolitano e alle altre istituzioni «di intervenire presso la magistratura e ristabilire il principio costituzionale secondo cui la legge è uguale per tutti».
LANDINI - Quanto accaduto oggi nello stabilimento Fiat di Melfi, con i tre operai reintegrati 'respinti' dall'azienda, rappresenta «una violazione delle più elementari regole democratiche». Lo ha detto all'Apcom il leader della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, che ha confermato la decisione di portare il Lingotto in tribunale «perchè sta commettendo un reato», in quanto «sta violando l'applicazione di leggi e sentenze nel nostro Paese».
«Questa cosa - ha proseguito - è grave che venga fatto dalla Fiat, la più grande impresa metalmeccanica del nostro Paese, che così facendo semplicemente imbarbarisce le relazioni sindacali».
LA DENUNCIA - Il segretario regionale della Basilicata della Fiom Cgil, Emanuele De Nicola, ha presentato un esposto-denuncia alla stazione dei carabinieri di Melfi contro la Fiat per denunciate la mancata attuazione della sentenza emessa dal giudice del lavoro lo scorso 9 agosto che disponeva l'immediato reintegro dei tre operai licenziati. Non avendo ottemperato al provvedimento, la Fiat sarebbe incorsa, secondo il sindacato, in un comportamento antisindacale e penalmente perseguibile.
SACCONI - I lavoratori devono «condividere i risultati delle loro fatiche non solo in termini di salario fisso contrattuale ma anche in termini di salario collegato ai risultati dell'azienda». Ne è convinto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi.
«Meno Stato e più società - dice Sacconi a margine di un convegno al Meeting di Comunione e Liberazione - significa per esempio Pomigliano: un grande investimento che si realizza non con un incentivo pubblico, ma con un incentivo realizzato dalla disponibilità dei lavoratori ad una maggiore produttività del lavoro». Questi lavoratori, secondo il ministro, «acquisiscono anche i titoli di condividere un domani i risultati delle loro fatiche non solo in termini di salario fisso contrattuale, ma collegato ai risultati dell'azienda».
Sul piano teorico sarebbe importante per Sacconi che la Fiom dicesse che «non è giusto bloccare un carrello». «C'è un problema di relazioni industriali - ha aggiunto il ministro - che riguarda Pomigliano e tutti gli altri stabilimenti», vale a dire come non permettere il blocco degli investimenti da parte di una minoranza interna. «Questo è il tema - per Sacconi - questo dovremo chiederci tutti: una minoranza può disincentivare l'investimento?»
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