Fiat: sciopero improvviso contro Marchionne
Termini Imerese si ferma: «Non siamo fannulloni»
ROMA - Se gli operai della Fiat volevano dimostrare quanto abbia ragione Sergio Marchionne a chiedere alcune garanzie organizzative ai sindacati in cambio di non portare la produzione della nuova Panda in Polonia, ci sono perfettamente riusciti.
Questa mattina lo stabilimento di Termini Imerese ha incrociato le braccia a sorpresa per protestare contro le parole pronunciate nei giorni scorsi dall’amministratore delegato della Fiat che aveva accusato i sindacati di avere proclamato nei giorni scorsi uno sciopero solo per consentire agli operari di potersi guardare la partita dell’Italia contro il Paraguay.
Che cosa chiede infatti Marchionne nei patti per Pomigliano che la Cisl e la Uil hanno già sottoscritto e la Cgil ha invece rifiutato? Che si possano prendere provvedimenti disciplinari contro gli scioperi selvaggi, cioè quelli che vengono proclamati all’improvviso, senza consultazioni preventive e senza che siano inseriti in un contesto contrattuale.
E’ proprio quello che è successo a Termini Imerese. Gli operai Fiat siciliani questa mattina non hanno sospeso la produzione per rivendicare un aumento salariale o per difendere il proprio posto di lavoro. No, hanno utilizzato lo sciopero come strumento polemico. Hanno utilizzato la produzione come elemento di ritorsione. Hanno danneggiato se stessi e la fabbrica solo per comunicare di essere stati offesi dalle parole dell’amministratore delegato. Si sono serviti del lavoro, in questo caso del non lavoro, per comunicare un dissenso.
Qui non si tratta di stabilire se Marchionne avesse avuto torto o ragione nelle affermazioni che oggi gli operai hanno contestato. Finora l’uomo al quale si deve il salvataggio della Fiat ha dimostrato di non parlare a vanvera, ma ammettiamo che non bastano le prove di serietà fin qui dimostrate a garantire che anche in questo caso avesse ragione.
Il problema è lo strumento adottato per contrastare e negare le sue affermazioni.
Dove sarebbe bastata un dispaccio di agenzia, o al più una conferenza stampa, per confutare quella che è stata giudicata una offesa, a Termini Imerese gli operai hanno preferito il sabotaggio della produzione, l’arma letale alla quale si dovrebbe ricorrere solo in casi estremi.
Scioperare per una frase ritenuta ingiusta è un atto che nei tempi in cui viviamo ha il sapore dell’irresponsabilità.
Inoltre getta un‘ombra ingiusta sulla credibilità della lotta sacrosanta che le tute blu di Termini Imerese stanno invece combattendo da mesi in difesa del posto di lavoro. Lotta sacrosanta indipendentemente dalla validità delle ragioni che hanno indotto l’azienda a prevedere la chiusura dello stabilimento siciliano.
Alla vigilia di un referendum sul destino di Pomigliano, come quello che vedrà domani impegnati i lavoratori della Fiat, l’ultima cosa che i sindacati dovrebbero fare è dare l’impressione di avere perso lucidità e senso della realtà.
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