19 maggio 2024
Aggiornato 05:00

L’industria migliora, le risse politiche la bloccano

Il caos delle liste blocca sgravi fiscali e incentivi ai settori in crisi

Era dalla primavera del 2008 che non si registrava una variazione positiva dei dati della produzione industriale : oggi l’Istat ha comunicato che a gennaio si è registrato un aumento dell’ attività dell’azienda Italia del 2,6 per cento rispetto all’ultimo mese del 2009.
E’ la prova che la ripresina c’è, anche se contrassegnata da molte incertezze.
E’ il classico momento, dicono i dati, in cui basterebbe poco per tramutare i deboli segnali di ripresa in una robusta e duratura riscossa.

Per il passaggio successivo non c’è dubbio che la fonte da cui ci si deve aspettare la spinta giusta verso l’accelerazione debba essere quella dell’intervento pubblico.
Ci sono inoltre le condizioni per evitare che i soldi provenienti dalla case pubbliche vengano spesi al vento. La macchina, come certifica l’Istat, si è infatti rimessa a marciare: è quindi questo il momento per metterle a disposizione la benzina di cui ha bisogno, provvedendo nel contempo a rimuovere dal suo cammino antichi e nuovi impedimenti.
Poiché di benzina da mettere a disposizione, lo sappiamo bene, lo Stato ne ha ben poca, ci si poteva aspettare che alla carenza di risorse potesse sopperire perlomeno un grande sforzo di coesione delle forze politiche in nome della tanto sospirata ripresa.
Purtroppo da quest’ultimo punti di vista il momento sembra invece dei peggiori.
La «ripresina» coglie le forze politiche in ogni sorta di rissa, alle prese di una tornata elettorale in cui sembrano essere venute meno tutte le cautele suggerite dall’obbligo, da parte di chi ha responsabilità, di guardare agli interessi generali oltre che a quelli di bottega.
Gli effetti di questa «distrazione» della politica nei confronti dei bisogni concreti del Paese sono tangibili, anche se relativamente visibili, annebbiati come sono dal polverone generale.

Ma gli esempi, a saperli cercare, sono più che lampanti.
Eccone uno di importanza vitale per il superamento definitivo della crisi.
Come tutti sanno il governo sta lavorando da tempo alla messa a punto di un decreto legge per lo sviluppo.
Sulla stesura del testo di questo provvedimento, aspettato come la manna dal mondo produttivo, ancora non si è trovato l’accordo fra il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti e quello dello Sviluppo, Claudio Scajola.
Fin qui niente di straordinario. La materia da trattare è complessa ed è nella norma che due ministri possano avere idee divergenti. Fra l’altro in questo caso, a causa delle rispettive competenze, sono tenuti a guardare alle soluzioni da due angolature diverse.
Poiché comunque è urgente che si arrivi ad una chiusura del pacchetto prima e non dopo che molte aziende esalino l’ultimo respiro, la prima cosa che i due ministri dello stesso governo erano tenuti a fare era di incontrarsi per verificare insieme come superare le divergenze.
E’ appunto quello che avevano previsto di fare i ministri Tremonti e Scajola, tanto che l’appuntamento era stato già fissato per la settimana scorsa.
Invece non se ne è fatto niente. E’ così da escludere che il provvedimento per lo sviluppo possa approdare nel Consiglio dei Ministri previsto per venerdì prossimo.
Che cosa è successo per impedire il summit fra Tremonti e Scajola?
«Il confronto diretto fra i due ministri era previsto nella scorsa settimana, ma poi è stato travolto dal caos delle liste elettorali», ha spiegato il «Sole 24Ore».
Risultato, sia che prevalga la linea di Tremonti o quella di Scajola sono rimasti in sala d’aspetto interventi che vanno dagli sgravi fiscali per le imprese che investono in ricerca, ai bonus o crediti d’imposta. In sospeso sono anche rimasti un primo stanziamento per la banda larga e gli incentivi per scooter, elettrodomestici, cucine componibili, abitazioni ad alta efficienza energetica, motori per nautica da diporto, rimorchi o semirimorchi, macchine per uso agricolo, gru per l’edilizia.

Ma le baruffe vengono prima degli interessi concreti dei cittadini anche sul versante dell’opposizione. Era da un anno e mezzo che l’opposizione chiedeva al ministro Tremonti di riferire in Parlamento sugli effetti della crisi economica. Ma quando l’obiettivo sembrava raggiunto e l’attesa replica era stata fissata per oggi pomeriggio con tanto di diretta Tv, il Partito democratico e l’Italia dei valori hanno preferito la strada dell’ostruzionismo, ben sapendo che la discussione delle loro mozioni sulla crisi e la replica del ministro sarebbero slittate a data da destinarsi, come infatti ha deciso la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio.

Non c è manifesto in questa campagna elettorale in cui i candidati non si rivolgano agli elettori con un «Con voi» «Come voi» «Per voi» e via dicendo. Ma siamo sicuri che dietro a quella conclamata e ricercata identificazione con i cittadini da parte di chi si appresta ad occupare i luoghi della politica ci sia la perfetta consapevolezza di chi siano effettivamente oggi gli italiani, di che cosa hanno bisogno, che cosa si aspettano?
O forse ci si deve preoccupare di una ipotesi anche più inquietante. Che quei candidati abbiano ragione. Che l’identificazione fra classe politica e cittadini ci sia già stata, che sia già avvenuta, e che quelli a cui assistiamo siano semplicemente i frutti di un processo di osmosi in stato avanzato.