19 maggio 2024
Aggiornato 02:30
Le norme attuali fanno fatica a separare la legalità dall’illegalità

Contro la corruzione ci vogliono norme più chiare

La vicenda delle piscine romane un esempio dell’anomalia italiana

La vicenda dei lavori alla Maddalena ripropone un tema non più ineludibile: va inasprita la lotta ad una corruzione sempre più dilagante, ma va anche stesa una rete di protezione preventiva per evitare che chiunque debba prendere una decisione pubblica rischi di finire quasi matematicamente nel mirino della magistratura. Le norme attuali, confuse e spesso contraddittorie, non frenano la corruzione e fanno fatica a separare la legalità dall’illegalità.

E’ una missione impossibile sciogliere questo nodo soffocante? Eppure non siamo gli unici al mondo ad avere a che fare con gli appalti pubblici, né con i pericoli della corruzione.
Basterebbe allora studiare come si comportano gli altri Paesi, soprattutto quelli a noi più affini, per imitarne i comportamenti più virtuosi ed efficaci.
E’ ormai evidente che i mezzi e le norme di cui disponiamo attualmente non sono in grado infatti, né di arginare la corruzione, né di proteggere chi fa solo il proprio dovere. In un pastrocchio in cui per l’opinione pubblica è difficile destreggiarsi.

Il risultato di questo andazzo è facilmente riscontrabile scorrendo i commenti che nei giornali on-line accompagnano il proliferare degli scandali: il sentimento più diffuso è di una crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni.
E’ difficile credere che questo scoramento generale giovi a qualcuno. Né che possa rafforzare le tesi di chi individua in un capro espiatorio la causa di ogni male.
Non è escluso che nell’agire di alcuni ci sia anche la volontà di danneggiare il proprio avversario politico. Ma è indubbio che c’è anche da rimediare alla farraginosità e all’incoerenza delle norme che regolano la materia.
Da questo punto di vista è emblematico il caso dei mondiali di nuoto che si sono svolti a Roma la scorsa estate e delle strutture nate per fare da supporto a questo evento.
L’episodio consente inoltre di misurare con il necessario distacco quanto accaduto perché non ci sono stati in ballo, né soldi pubblici, né interessi politici.
La vicenda parte dal momento in cui la Giunta comunale della Capitale, allora guidata da Walter Veltroni, si rese conto che il complesso natatorio originariamente affidato all’architetto spagnolo Calatrava, che avrebbe dovuto ospitare i mondiali di nuoto, non poteva essere ultimato nei tempi previsti per mancanza di tempo e di finanziamenti.
A quel punto bisognava trovare una nuova soluzione per gli alloggi delle squadre partecipanti, oltre che per le piscine dove avrebbero dovuto svolgersi gli allenamenti degli atleti.
La giunta Veltroni, pressata dall’impegno imminente, decise allora di affidarsi ai privati e chiamò a raccolta una ventina di circoli sportivi romani.
C’era però da risolvere il problema di come consentire alle strutture private chiamate in soccorso dei mondiali di adeguare gli impianti esistenti alle necessità della manifestazione.
A questo provvide il governo con la nomina di un commissario straordinario il quale, grazie alle competenze conferitogli, concesse le autorizzazioni per costruire e ampliare piscine, foresterie e club house.
Il connubio pubblico- privato fu salutato come la migliore delle quadrature del cerchio. Le istituzioni pubbliche avrebbero potuto in questo modo fare fronte ad un appuntamento mondiale senza cacciare un soldo per le attrezzature.

L’idillio fu invece interrotto dalla magistratura quando si era in prossimità della data stabilita.
Che cosa fosse andato storto è un concentrato di anomalie all’Italiana.
Alcuni circoli avevano approfittato della «straordinarietà» delle autorizzazioni per costruire cattedrali alberghiere in luogo di piccole foresterie per gli atleti.
Altri avevano edificato in prossimità del Tevere incuranti del rischio inondazione.
Ma soprattutto si scoprì che i poteri del commissario straordinario erano condizionati al parere vincolante del Comune e questo parere non era mai stato dato.
Risultato, finì tutto sotto sequestro.
Ma le anomalie non si fermarono qui.
Il magistrato, per consentire lo svolgimento dei mondiali, concesse infatti l’utilizzo provvisorio delle attrezzature.
Passati i mondiali, sequestrò nuovamente le piscine, per poi ancora dissequestrarle, dopo averne concesso l’uso, in attesa del processo.
Infine, ciliegina sulla torta, si scoprì che uno dei proprietari del circolo maggiormente coinvolto in abusi alberghieri con la scusa della foresteria era il figlio di Angelo Balducci, primo commissario dei mondiali di nuoto e da ieri agli arresti per le vicende della Maddalena.
Ha ragione Sergio Romano che dalle colonne del Corriere della Sera chiede che la politica italiana metta urgentemente in agenda il «buon funzionamento di uno Stato moderno».