19 aprile 2024
Aggiornato 08:30

La FIAT dopo lo stop con Opel, Lingotto guarda al Sudamerica

Obiettivo avvicinarsi a soglia delle sei milioni vetture vendute

TORINO - Lo stop causato dalla mancata acquisizione di Opel non ferma la strategia di Sergio Marchionne. Sfumata l'opzione tedesca il manager italo-canadese sta dedicando le sue attenzioni a Chrysler, di cui da domani sarà amministratore delegato, ma sta guardando anche al Sudamerica e alla Svezia. Due obiettivi che potrebbero consentire di aumentare la massa critica e raggiungere l'obiettivo 'sei milioni di vetture prodotte': una condizione indicata come imprescindibile dal numero uno di Fiat per essere attori di primo piano nel mercato automobilistico mondiale dei prossimi anni.

A poche ore dall'esito della partita, che ha visto l'uscita della Fiat, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti lamenta ingerenze politiche degli altri paesi coinvolti, Germania e Russia: «l'industria italiana è andata in Germania convinta di giocare con regole di mercato. Ha informato il governo ma non ha chiesto niente. Sono convinto che Berlusconi con la sua influenza avrebbe potuto fare molto», ha detto. Per il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, «il Governo italiano ha fatto tutto il possibile per sostenere Fiat nella sua strategia di espansione. Resto convinto - ha aggiunto - che il piano industriale di Fiat fosse il migliore per garantire ad Opel un futuro nell`ambito di un grande gruppo europeo». Preferisce allontanare invece ipotesi di decisioni 'anti mercato' il presidente di Fiat Luca Cordero di Montezemolo secondo il quale la sconfitta nella gara per Opel «non è un discorso di guerra tra paesi, né di politica. Sono state fatte delle scelte che si rispettano».

Ora la casa torinese guarda avanti. Nel mirino di Marchionne continuano ad esserci alcuni degli asset di General Motors al di fuori dei confini statunitensi: Saab in Svezia e le attività di Gm in America Latina. Se con il marchio svedese Fiat accrescerebbe la sua presenza nelle berline di lusso ma con scarso impatto sui volumi complessivi, ben diverso effetto ci sarebbe con l'acquisizione degli asset di Gm in Brasile e Argentina. Il colosso americano è al secondo posto nei due Paesi preceduto rispettivamente da Fiat e Volkswagen e produce complessivamente (Messico, Venezuela e Cile compresi) circa 1,2 milioni di automobili. Un dato che, sommato ai 2,5 milioni di Fiat e ai due milioni di Chrysler farebbe avvicinare notevolmente Torino alla fatidica soglia delle sei milioni di unità.

Rispetto alla Germania, dove la componente politico-sindacale ha giocato un ruolo decisivo, in Sud America Marchionne potrebbe avere qualche carta in più da giocare. Il presidente Usa Barack Obama ha infatti agevolato la cessione di Chrysler a Fiat perché la casa italiana ha messo sul piatto un piano di rilancio credibile. Un piano legato a doppio filo alla crescita complessiva del gruppo e al raggiungimento dell'obiettivo di sei milioni di vetture. Proprio per questo l'amministrazione Usa (che dal prossimo giugno sarà il principale azionista di Gm) potrebbe vedere di buon occhio il passaggio degli asset sudamericani nelle mani di Fiat.

Ma l'orizzonte di Marchionne potrebbe non limitarsi al Sudamerica. La strategia di crescita, in questo caso, guarderebbe anche verso l'Asia dove un'eventuale alleanza con Tata spalancherebbe alla Fiat al mercato del subcontinente indiano. Oppure di nuovo in Europa: possibili candidate oltre a Saab, sarebbero Bmw (con la quale è in piedi un accordo di collaborazione dal 2008 e che, con il suo know how nelle auto di alta gamma si integrerebbe bene con Torino) o Psa (che però è presente negli stessi settori presidiati dal gruppo torinese).