29 aprile 2024
Aggiornato 13:00

Unioncamere: le imprese prevedono 89mila dipendenti in meno nei primi 3 mesi del 2009

Un’azienda su tre lamenta restrizioni del credito

ROMA – Quasi 89mila dipendenti in meno nelle imprese italiane nei primi tre mesi del 2009. Questa la previsione che emerge dall’ultima indagine trimestrale realizzata a gennaio 2009 dal Centro Studi di Unioncamere su un campione di oltre 3.200 imprese con almeno un dipendente, operanti in tutti i settori di attività economica, dall’industria al commercio e agli altri servizi.

L’analisi ha consentito anche di evidenziare l’effetto della crisi sui rapporti tra imprese e banche: il 31% delle imprese segnala un peggioramento delle condizioni di credito nell’ultimo anno, ancor più evidente per quelle operanti nei vari settori del manifatturiero.

L’OCCUPAZIONE NEL PRIMO TRIMESTRE 2009: LE MODIFICAZIONI SETTORIALI
Si intensifica la ristrutturazione delle imprese manifatturiere

Le aspettative di crescita delle imprese italiane sul versante occupazionale sono nettamente peggiorate sul finire dello scorso anno: mentre i consuntivi di settembre 2008 davano ancora una crescita occupazionale pari a poco meno di 111mila dipendenti rispetto all’inizio dell’anno, il bilancio a fine dicembre 2008 ha evidenziato 111.100 posti di lavoro in meno. Questo significa che la flessione complessiva dell’occupazione, nell’arco di tutti i dodici mesi del 2008, è stata pari a -1,0% (al netto dei flussi relativi ai contratti a progetto e ai lavoratori in somministrazione). Le previsioni per i primi tre mesi del 2009 sono, inoltre, di una flessione di 88.700 occupati, pari a un ulteriore –0,8% rispetto ai dipendenti in forza alle aziende al 31 dicembre 2008.

Al di là dei dati sull’incremento registrato della cassa integrazione guadagni, saranno 43.100 i posti di lavoro (a tempo indeterminato e determinato, esclusi i collaboratori a progetto e i lavoratori in somministrazione) persi dalle imprese manifatturiere italiane tra gennaio e marzo 2009. La flessione occupazionale riguarda non solo le industrie dei beni per la persona e per la casa (quasi 18mila in meno nel «sistema moda», nell’arredamento, nella ceramica, negli articoli sportivi) ma anche quelle della chimica (-14mila circa) e della lavorazione dei metalli (-10mila). Sembrano invece contenere la diminuzione dell’occupazione i settori dell’alimentare e della meccanica, dove nei primi tre mesi del 2009 dovrebbe verificarsi un parziale recupero delle perdite subite nel 2008 (chiusosi con un segno negativo: rispettivamente 2.500 e quasi 3.000 i posti di lavoro in meno). Negativo anche il bilancio trimestrale delle imprese edili (-7.500 circa).

Meno intensa, ma pur sempre consistente, la flessione nei servizi: le previsioni fino a tutto marzo 2009 vedono una perdita di 17mila lavoratori nel commercio (nonostante la crescita occupazionale di ipermercati, supermercati e grandi magazzini), di 10mila nel credito, assicurazioni e servizi immobiliari, di quasi 8mila nei trasporti e nella logistica.

LE MODIFICAZIONI TERRITORIALI
Più intensa la flessione occupazionale delle imprese settentrionali

Degli 88.700 posti di lavoro in meno previsti nel periodo gennaio-marzo 2009, il 70% si concentra nel Nord, senza grandi differenze fra Nord Ovest (-31.200, pari a un –0,5% rispetto allo stock dei dipendenti a fine 2008) e Nord Est (-30.800, pari a –1,2%). Seguono a distanza il Sud e le isole (-18.100, -1,0%) e il Centro (-8.500, per un –0,4%).

LE MODIFICAZIONI DIMENSIONALI
Prospettive di crisi occupazionale nelle piccole e piccolissime imprese

Dopo aver perso oltre 100mila posti di lavoro nel 2008, le piccole imprese (da 1 a 49 dipendenti) prevedono un’ulteriore flessione nel primo trimestre di quest’anno (-76.600 unità), che si dovrebbe tradurre in un tasso di variazione del –1,3%. Al loro interno, risulta migliore la tenuta delle piccole e piccolissime imprese artigiane, la cui contrazione si attesta al –0,6% (pari a 8.700 lavoratori in meno) rispetto allo stock occupazionale del dicembre 2008.

I RISCHI DI RIDUZIONE DEL CREDITO
Costo del danaro più elevato per le piccole e piccolissime imprese, limitazioni all’ammontare del credito per quelle più grandi
Il 31% delle imprese industriali e terziarie ha avvertito un peggioramento delle condizioni del credito nell’ultimo anno, quota che raggiunge il 33,3% nel caso delle aziende manifatturiere.

Nel complesso, il peggioramento delle condizioni creditizie riguarda in primo luogo gli spread e, dunque, un costo del danaro più elevato (43,2% delle segnalazioni di difficoltà), che distanzia l’incremento delle garanzie richieste (33,7%); un ulteriore 20% dei problemi avvertiti dalle imprese riguarda invece una limitazione nell’ammontare del credito erogabile. Le aziende del Mezzogiorno sono quelle che con più frequenza temono un ulteriore aumento del costo del denaro (48% di quelle che indicano un peggioramento delle condizioni di accesso al credito), al Centro si avverte una maggiore richiesta di garanzie reali (44,7%), mentre al Nord le aziende soffrono in misura maggiore di limitazioni nell’entità del finanziamento richiesto (tra il 21% e il 23% circa).

A tali differenze a livello territoriale corrispondono comportamenti diversi in base alla dimensione aziendale: nel manifatturiero, le piccole imprese (fino a 49 dipendenti) imputano le difficoltà di accesso al credito soprattutto a tassi e costi bancari più onerosi (40,5%) e, in seconda battuta, all’incremento delle garanzie richieste (37,8%). Si tratta di quote in entrambi i casi superiori a quanto rilevato per quelle di più grandi dimensioni (rispettivamente 27,4% e 33,5%), che, al contrario, soffrono maggiormente per una limitazione nell’ammontare del credito richiesto (34,1% di quelle con «difficoltà creditizie», contro il 19,8% rilevato per le piccole imprese).